Cerca

Pozzi e vasche: i santuari della Dea della Luna

L’elemento acquatico ha sempre avuto una duplice connessione con la Luna e col genere femminile. Le forme più evolute della religiosità primitiva nel Salento hanno approfondito e sviluppato questa connessione, posta al vertice dei culti cosiddetti ctoni, ossia sotterranei, che nel Salento, come nel resto del Bacino del Mediterraneo erano legati alla bianca dea della notte, la Luna, dapprima immagine celeste della dea Madre terrena e poi figura divina autonoma, soprattutto in seguito alla seconda colonizzazione indoeuropea.
La mutabilità è l’elemento caratteristico di questi culti, riconnessi alle fasi della Luna dalle quali dipende il ciclo delle maree, mutabilità che ha un suo importantissimo riflesso sul ciclo di fertilità della donna, che mensilmente ripete il ciclo della fertilità annuale della terra. I ritmi della vita contadina primitiva erano infatti scanditi dall’analisi delle fasi lunari e della posizione della Luna nel cielo, attuate mediante una primitiva osservazione astronomica, rifrangendo l’immagine del satellite terrestre in vasche d’acqua o nei pozzi, dove l’acqua consentiva di aumentare la dimensione dei raggi luminosi, creando un primitivo sistema ottico di ingrandimento.
Alla dea cosmica lunare, Eurinome, è legata l’origine dell’Universo, creato dalla danza della dea con il vento del Nord, in forma di serpente cosmico, a sua volta creato dal movimento della dea stessa. La dea Madre, nella sua triplice essenza ed il serpente saranno gli elementi cultuali fondamentali della religione pelasgica. Al serpente, generatore della vita è data la facoltà divina della guarigione, come si può cogliere dalle rappresentazioni del dio Asclepio e del caduceo di Mercurio, giacché presso la medicina primitiva, il veleno di alcuni serpenti era utilizzato con funzioni curative. L’unione del serpente con l’elemento acquatico, sacro alla dea Madre, dava origine all’acqua curativa, così diffusa in tanti pozzi sacri del Salento, nei quali i “serpari”, in occasione del quindicesimo giorno del mese sinodico (il numero 15 è sacro perché unisce il numero divino 3 a quello terreno 5 – 5×3=15), di 29 giorni, giorno del plenilunio, gettavano i serpenti che trovavano nelle campagne per rendere onore alla dea. Al morso curativo del serpente seguiva la danza sacra, che richiamava la danza creatrice di Eurinome, accompagnata dal suono magico di timpani e dei tamburi.
Le ragazze che compivano 15 anni, e quindi avevano raggiunto la maturità sessuale, erano iniziate in questo modo al culto della dea: nelle notti di plenilunio erano condotte dalle sacerdotesse presso i santuari della dea dove, morse da serpenti tenuti dalle sacerdotesse, iniziavano una danza forsennata, con la quale esaurivano le energie infantili per rinascere adulte. Esauste, sfinite dal ballo sacro ad Eurinome, venivano condotte presso le vasche sacre, dove venivano spogliate della tunica bianca che le vestiva ed immerse completamente tra i raggi argentei dell’astro che si rifrangevano nelle acque delle vasche a loro volta raccolte dai pozzi sacri, pieni dei serpenti consacrati alla dea, contemporaneamente (ed omeopaticamente) male e rimedio del male stesso. Rinascevano così donne e madri, e potevano essere introdotte nella comunità degli adulti, allo stesso modo in cui i loro coetanei maschi erano stati introdotti al culto del Signore degli animali, che sovrintendeva sulla caccia sacra.
Circa la forma e le dimensioni delle vasche sacre, si può ritrovare una significativa corrispondenza archeologica nella Mikvè del mondo ebraico, ossia la vasca nella quale il converso doveva essere immerso per poter entrare nel patto di Mosè e divenire ebreo a tutti gli effetti, che confermerebbe una comunanza costruttiva delle vasche sacre in tutto il bacino del Mediterraneo, suffragata anche dal fatto che i primi ebrei riutilizzavano le strutture sacre dei popoli pagani per compiervi le proprie cerimonie. Il Mikvè doveva costruito nel terreno o che, per lo meno, doveva esservi connesso. Doveva contenere la quantità indispensabile per un’immersione totale. L’acqua avrebbe dovuto essere piovana e non essere veicolata in nessun modo attraverso tubature o contenitori. Tale antichissimo rito ebraico in realtà nasconde radici pelasgiche, tanto che evidenze archeologiche presenti in tutti i luoghi del Mediterraneo colonizzati dai pelasgi, compreso il Salento, dimostrano una corrispondenza tra le vasche sacre ad Eurinome col Mikvè per quanto riguarda i canoni costruttivi. Ma mentre nel Mikvè l’adepto diveniva membro di una popolazione enoteistica che venerava una divinità maschile, nelle vasche sacre dei Pelasgi si venerava la divinità femminile per antonomasia, Eurinome.
Eurinome, la dea Madre dei Pelasgi, veniva da questi rappresentata in unità con il Serpente cosmico ed i suoi figli, in forma di divinità dai tre occhi, in relazione alla sua divina triplicità. Ella, Signora dei viventi, venne chiamata Medusa (dal Sanscrito Medh, che significa la Sovrana), ma anche Metis in Grecia, Met in Egitto, ed in Libia, dove era venerata da sacerdotesse guerriere, le amazzoni, e da dove probabilmente i Pelasgi avevano iniziato la colonizzazione del Mediterraneo, era chiamata Neth, Anath, Athene, Ath-enna (nel nord Africa) ed Athana nella Creta minoica. Ella è rappresentazione divina dei cicli del tempo come presente, passato e futuro, e della natura, nonché guardiana della soglia tra natura ed assoluto, mediatrice tra la terra, il cielo ed il mondo ctonio.
Eurinome subì una duplice demonizzazione ad opera degli attici indoeuropei, che ne reinventarono il mito e lo traslarono in quello di Medusa, una ragazza bellissima con meravigliosi capelli, della quale s’ invaghì perdutamente il dio del mare, Poseidone, che, per averla, si trasformò in un uccello. La sedusse, poi, nel tempio di Athena e Medusa nascose il volto dietro l’egida della dea. Athena, offesa anche perché Medusa aveva vantato di avere capelli più belli dei suoi, punì la ragazza trasformandola in un mostro con gli occhi di fuoco, la lingua penzolante e serpenti al posto dei meravigliosi capelli. La seconda demonizzazione venne attuata in ambiente mediorientale dove l’animale totemico della dea babilonese della Luna Ishtar (corrispondente all’Eurinome pelasgica), la cagna, venne messa a guardia delle porte dell’Ade, nella forma del cane infernale Cerbero. In questa valenza sopravvive però l’aspetto ctonio di Eurinome, come guardiana della soglia tra la vita e la morte.
Il culto di Eurinome-Athena ebbe una diffusione capillare in tutto il Mediterraneo, ed in particolare nel Salento, dove venne onorata con l’erezione di numerosi templi e luoghi sacri, dove non mancava mai la presenza di uno o più pozzi, una vasca scavata nella roccia dove avvenivano i riti di purificazione, e gli altari dove alla dea della Luna le sacerdotesse offrivano i loro sacrifici. Ancora oggi la toponomia ricorda questo passato ancestrale, nei nomi di Minervino di Lecce, del Colle della Minerva ad Otranto, in quello di Galatina, o luoghi dell’antico culto pelasgico, sui quali la Cristianità edificò i propri santuari dedicati alla Madre di Dio, ad esempio il Santuario di Leuca o quello di Montevergine a Palmariggi.
 

 

Vincenzo Scarpello