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Negramaro: “I nostri primi dieci anni”

Vincitori del Premio Medimex Miglior Artista Italiano 2012, i Negramaro festeggiano il giro di boa dei dieci anni di carriera pubblicando Una storia semplice, la raccolta di tutti i loro successi insieme ad alcuni brani inediti. Giuliano Sangiorgi, il cantante e leader della band, ci ha raccontato questa straordinaria avventura 

 

A cura di Claudia Mangione – foto: FLAVIO&FRANK 

 

Sguardo diretto e profondo, Giuliano ha la stessa faccia onesta e pulita di quando, nel 2003, con gli amici Lele, Ermanno, Andrea, Pupillo e Danilo, e “le tasche piene di parole e sogni”, partì alla conquista del mondo della musica, segnandone intensamente, da lì in avanti, il ritmo e la direzione. Con i piedi ben piantati a terra e l’entusiasmo intatto degli inizi, se non di più (“Abbiamo una voglia di suonare adesso ancora più grande”), da allora nulla è cambiato nel loro “essere insieme e da sempre in sei”, come dice. 

E si cammina con lui fra i ricordi, qui, nell’antica masseria che funge da quartier generale delle loro prove. Accoccolata nel cuore della campagna salentina, all’interno delle sue mura spesse secoli si respira il profumo di un pomeriggio senza tempo. Ed è proprio del tempo trascorso che siamo venuti a parlare con Giuliano, per ripercorrere insieme quel fil rouge di emozioni lungo dieci anni che, in maniera palpabile, ora “quasi per magia sembra riaffiorare tra le dita”

I primi dieci anni di carriera sono un traguardo importantissimo per una band. Cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale? 

La cosa bella è che niente è cambiato e che tutto è cambiato. La cosa bella è che siamo qui, in una masseria a pochi chilometri da casa, dove suoniamo e facciamo le nostre prove, e che siamo più amici di prima. Sono le dimensioni ad esser cambiate, in maniera estrema. Prima si aveva un pubblico di 20 persone, oggi si hanno stadi da riempire. Non è cambiato però l’approccio all’emozione, l’attitudine all’essere emozionati, cioè è sempre una sorpresa tutto. Dal Triade e il Ritual di Copertino, al Candle di Lecce, dall’Olimpico e San Siro, al Tour in Europa, l’emozione è sempre la stessa. E ogni volta che pensi al passato prendi tutti i ricordi e li senti carne, sostanza della tua vita. L’inizio è ancora presente nelle nostre mani proprio perché non ci siamo allontanati dalla verità che ci ha mosso le gambe: la voglia di fare musica e, soprattutto, di fare musica con degli amici. Se io oggi suono è perché ho voluto far parte di un gruppo. 

Un lungo arco di tempo costellato da successi pazzeschi, ma segnato anche da un momento difficile, il tuo intervento alle corde vocali. Ti va di parlarne? 

Sì, quello l’ho superato solo perché gli altri hanno alleggerito tutto. Il problema in realtà era piccolissimo, si trattava di un peeling, però arrivava nel momento sbagliato perché eravamo all’inizio di un tour sold-out e mi sarei fatto del male pur di andare avanti, invece loro hanno pensato alla nostra amicizia e alla nostra carriera e hanno detto no, da qui non si passa. E dopo abbiamo fatto 2000 date più belle e la voce è migliorata. 

Una storia semplice, il doppio album che raccoglie tutte le vostre hit, è il regalo che vi siete fatti, e che ci avete fatto, per festeggiare questo meraviglioso traguardo. Al suo interno ci sono però anche delle novità…

Ci sono 8 pezzi nuovi, 6 inediti più E così sia, che non è inedito, ma inedita è la forma, cioè è una canzone scritta per Mina e cantata da lei, ma per la prima volta cantata da noi, con Davide Rossi. E poi c’è Malinconie che invece è un inedito vero e proprio ed è contenuto nell’album per iTunes. Questo pezzo avrebbe dovuto far parte del primo disco, Negramaro omonimo, ma lo abbiamo tenuto fuori perché era troppo avanti. Oggi è arrivato il tempo di pubblicarlo. 

Gli inediti, che ambiscono a diventare tutti dei singoli, come lo è già Ti è mai successo?, sono stati da voi selezionati in una rosa di ben 30 nuovi brani. Perché avete scelto proprio queste tracce? 

Abbiamo scelto quelli che comunque rappresentano un concept. Sei è un numero, un verbo. È tutto per noi. Essere insieme da sempre in sei, guardandosi allo specchio e ritrovandosi identici in tutte le differenze. Una storia semplice è la nostra storia, tutt’altro che semplice, ma proprio per questo la più profonda e vera. Sole è la voglia di essere nudi, vestiti solo della nostra pelle, delle nostre mani e della nostra musica. Ti è mai successo? racchiude in sé la cifra musicale che ha segnato la storia della band. La giostra è ciò che è stata finora la nostra vita. Ottobre rosso è un momento particolare di rinascita. Il concept riguarda, quindi, la nostra vita fuori da Casa69, fuori da La Finestra, il luogo fisico da cui noi guardavamo il mondo, mentre tutto scorreva…

Ma con tutto quel materiale avreste potuto benissimo pubblicare un intero album di inediti. Cosa vi ha trattenuto dal farlo? 

Non abbiamo fatto un album perché non volevamo schiacciare i piedi a un disco che è ancora in classifica, ma anche perché per noi Casa 69 è una pietra miliale. Ci è poi sembrato doveroso ricordare a noi stessi cosa sono stati musicalmente questi dieci anni e riascoltarli tutti insieme è stata una seduta psicologica fortissima. Ed è un flash incredibile per chiunque senta il doppio album e anche chi non ha seguito molto la nostra storia vedrà tantissime istantanee musicali collegate a un ricordo della propria vita, perché ci siamo stati e questo esserci stati, come dice Gaber, è fantastico. In effetti intere generazioni, di giovani e di adulti, sono cresciute con la vostra musica. 

Anche noi siamo cresciuti. Sono passati dieci anni e sembra siano passati solo per il gruppo, invece sono i dieci anni di tutti quelli che ci sono stati vicini, che ci seguono. C’è un rapporto strettissimo, fisiologico tra noi e chi ci ascolta, chi si emoziona con i nostri dischi. In questo pezzo di vita rientrate tutti voi. 

Tornando a Una storia semplice, il progetto grafico della copertina è curato da Ermanno, che ha associato a ognuno di voi un colore in base al vostro carattere. Mi spieghi meglio il suo significato? 

I colori sono l’unicità, però sono posti in una forma esagonale sotto cui c’è un fondo bianco di vernice e di tela. Il bianco è il simbolo dell’unione. Bianco è il disco che ci ha uniti. Quei colori sono estrapolati da un ritratto grandissimo fatto da Ermanno, che ci ha regalato per i dieci anni. L’immagine ritrae il momento per noi più importante, quando ci stringiamo prima di salire sul palco. 

Ciascuno di voi in questi anni ha coltivato e nutrito la propria unicità. Andrea cura live-set di musica elettronica, Ermanno è un bravissimo scultore..

Anche Lele è uno scultore, Danilo ha aperto una scuola di musica al Sud, Pupillo fa remix. 

E tu hai esordito nel mondo letterario col tuo primo romanzo, Lo spacciatore di carne, accolto da bagni di folla alle presentazioni in tutta Italia. Come nasce questo percorso? 

È stato accolto dalla critica innanzitutto, che pensavo mi trucidasse. La sera prima che uscisse la recensione del Corriere della Sera non ci ho dormito la notte. In realtà è successo perché non ho mai pensato di scrivere un romanzo, cioè ho iniziato a scrivere una storia che non aveva uno spazio, un limite di pagine, di tempo. Ho semplicemente scritto. Ho cominciato così come comincia il libro e in tre anni è stato un fiume in piena. L’ho scritto però solo nel momento in cui avevo da scrivere, senza mai impormelo. Mi ero prefissato di fare una cosa che avrebbe avuto il senso dell’ispirazione e basta. Da tempo c’erano case editrici interessate al fatto che se mai avessi scritto un romanzo avrebbero voluto sentirmi. Poi il romanzo è arrivato nelle mani di Einaudi Editore e ho deciso di pubblicare. 

Artisticamente parlando, com’è il tuo rapporto con il Salento? 

A livello artistico il Salento è una piccola Londra. Ha sempre avuto un collegamento diretto e costante con tutto il gusto musicale e artistico mondiale. Io sono orgoglioso di essere nato in una parte di mondo in cui questa dimensione è così aperta. Pertanto mi auguro che l’arte continui ad esser sostenuta, come all’inizio, anche da parte degli stessi locali, dei club. È chiaro che oggi è difficile, però lo era anche all’epoca e mentre gli altri facevano cover band all’estero o al Nord noi facevamo la nostra musica, e come noi tutti i gruppi che c’erano e che ci sono. Oggi, anche qui in Salento, è la cover band a trovare spazi e mi chiedo il perché. Noi questo non l’abbiamo mai fatto, nel senso che c’erano realtà piccole, grandi, che ti permettevano di suonare la tua musica. Ovviamente facevamo dei sacrifici, non guadagnavamo niente, ma sia noi, sia i locali decidevamo che in quella serata si sarebbe fatta musica, arte e, dopo pochi mesi, quegli stessi locali erano già pieni di centinaia di persone. Quindi il mio invito è di tornare a quella dimensione, a quella libertà e si dovrebbe trovare un modo per sostenerla. Però la Puglia in genere rimane l’isola felice dell’arte, anche per come è attualmente gestito questo settore artistico. L’arte è anche una culla ottima per la civiltà nuova e questo qualcuno l’ha capito. Se invece si ritiene che sia soltanto intrattenimento da ascensore o da pre-elezioni politiche non cambierà nulla. 

Prossimi impegni? Si parla di un tour all’estero…

Sì, ci stiamo lavorando in questi giorni. Ma faremo anche festival e gireremo un po’ l’Europa prima e durante gli stadi.