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Mense ospedaliere, un boccone amaro per Giovanni Gorgoni

Nuove grane per il neo direttore generale della Asl di Lecce: i sindacati e le associazioni di categoria chiedono di rivedere il bando che, a detta loro, penalizzerebbe le imprese locali

 

Il “Tourmalet” della mensa, il “Mont Ventoux” delle lenzuola, lo “Zoncolan” del 118: servirà il fisico da scalatore più che quello da passista al nuovo direttore generale dell’Azienda Sanitaria di Lecce, il dottor Giovanni Gorgoni, per passare indenne il tour de force in mezzo ai problemi della sanità salentina. 43 anni, laureato alla Bocconi di Milano in Economia aziendale, già direttore generale dell’Asl della provincia di Barletta, Andria e Trani, Gorgoni dovrà da subito confrontarsi, cercando di sbrogliarle, con le numerose matasse che intrecciano e intasano il servizio sanitario leccese. A partire proprio dal servizio di refezione ospedaliera. 

Il terreno è scivoloso e pare lo diventi ogni volta di più allorquando viene nominato un nuovo direttore generale. Era successo così al predecessore di Gorgoni, Valdo Mellone, che appena insediato ebbe a fare i conti con la gara d’appalto per il servizio mensa esperita nel 2011 senza bando pubblico, con procedura negoziata e con l’offerta vincitrice premiata al rialzo, vale a dire un’offerta ben superiore rispetto alla base d’asta prevista dalla stessa Asl. Ne avevamo parlato proprio qui su Belpaese del 15 ottobre 2011 con una copertina dall’emblematico titolo “La mensa dei furbi”. 

Nel corso degli anni, purtroppo, le cose non sono migliorate granché se anche sul nuovo appalto, messo a bando a novembre 2014, due anni dopo la determina, e scaduto il 20 gennaio scorso alle 13, piovono critiche e perplessità. L’importo annuo posto a base di gara, come si può leggere sulla Gazzetta Ufficiale, è pari a 7.917.008,80 Iva esclusa. L’importo complessivo dell’appalto, per una durata di 60 mesi (cinque anni, ndr) è stimato in 39.585.040,40 euro Iva esclusa, comprensivo di 8mila quali oneri da rischi interferenziali non soggetti al ribasso.

Sin dalle prime fasi i sindacati hanno bloccato la procedura perché chiedevano un prezzo minimo fissato per il pasto quotidiano dei degenti più alto rispetto al tetto dei 12,33 euro stabilito, da cui sarebbe derivato un esubero di 60, 70 lavoratori costretti a tornare a casa dall’oggi al domani. Nei giorni scorsi, invece, è arrivata netta la presa di posizione dell’Asir (Associazione Sindacale Imprese di Ristorazione) e del consigliere regionale Antonio Maniglio, i quali chiedono al nuovo direttore generale di verificare eventuali incongruenze nel bando che impedirebbe “la partecipazione delle imprese locali all’appalto”. 

Tanti i dubbi sollevati dalle associazioni di categoria: dall’assenza di un certificato di prevenzione dagli incendi alla mancanza di una certificazione sanitaria delle cucine passando per una mancata conformità degli impianti utilizzati, senza sottovalutare il fatto che tra la cottura dei pasti e la consegna ai pazienti possano passare addirittura un paio d’ore.

La richiesta è quella di sospendere l’iter per ascoltare le associazioni delle imprese. Toccherà al neo insidiato Gorgoni dirimere la delicata questione. 

 

Alessio Quarta