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Mario Perrotta trionfa al premio Ubu 2013

Importante riconoscimento per l’artista salentino e il suo monologo Un bés – Antonio Ligabue. In passato solo Carmelo Bene era riuscito nella stessa impresa 

 

Premio Ubu 2013 ex aequo a Carlo Cecchi (per La serata a Colono di Elsa Morante con la regia di Mario Martone) e a Mario Perrotta (nella foto) per il monologo Un bés – Antonio Ligabue. Mario Perrotta già Premio Speciale nel 2011 entra così nella storia del teatro italiano. Carmelo Bene, con il suo Riccardo III, lo ricevette nel 1977/’78 e nel 1978/’79 con L’Otello, per la regia/scenografia/spettacolo, con doppio premio come attore, lo stesso anno, per Otello e Manfred. Nel 1982/’83 per il miglior spettacolo e il miglior attore. E nel 1994, “Premio Speciale”. 

A poche ore dalla vittoria dell’artista salentino Mario Perrotta, il fatto veniva commentato così dallo scrittore Luciano Pagano: “Il confronto, che a qualcuno potrà sembrare lusinghiero nei confronti del novello vincitore dell’Ubu, è invece un dato di fatto innegabile. Prima Bene e ora Perrotta: il teatro salentino trova un giusto riconoscimento, Perrotta raccoglie un’eredità e una responsabilità importante, che sta a significare un profondo impegno, un talento finora profuso”. 

Un bès – Antonio Ligabue è andato in scena per la prima volta lo scorso maggio: si tratta di uno spettacolo interessante e davvero rivoluzionario, realizzato con la collaborazione di Teatro Sociale di Gualtieri, Comune di Gualtieri, Festival internazionale di Arzo, Associazione Olinda, Centro Teatrale MaMiMò, Ars – Creazioni e Spettacolo, dueL, Compagnia DéZir, Fondazione Archivio Diaristico Nazionale e Sinapsia. La storia non è semplicemente quella rocambolesca dell’artista naif Antonio Ligabue, ma si è voluto esplorare un’interiorità davvero molto particolare, un’interiorità che fu spesso oggetto di cronaca, ma che veniva ignorata per quello che era il suo effettivo valore. 

“Provo a chiudere gli occhi e immagino -scrive Perrotta nelle note dello spettacolo- io, così come sono, con i miei 40 passati, con la mia vita, quella che so di avere vissuto, ma senza un bacio, neanche uno. Mai. Senza che le mie labbra ne abbiano incontrate altre, anche solo sfiorate. Senza tutto il resto che è comunione di carne e di spirito, senza neanche una carezza. Mai. E allora mi vedo io, così come sono, scendere per strada a elemosinarlo quel bacio, da chiunque, purché accada. Ecco, questo m’interessa oggi di Antonio Ligabue: la sua solitudine, il suo stare al margine, anzi, oltre il margine, oltre il confine, là dove un bacio è un sogno, un’implorare senza risposte che dura da tutta una vita. Voglio avere a che fare con l’uomo Antonio Ligabue, con il Toni, lo scemo del paese. Mi attrae e mi spiazza la coscienza che aveva di essere un rifiuto dell’umanità e, al contempo, un artista, perché questo doppio sentire gli lacerava l’anima: l’artista sapeva di meritarlo un bacio, ma il pazzo, intanto, lo elemosinava. Voglio stare anch’io sul confine e guardare gli altri. E, sempre sul confine, chiedermi qual è dentro e qual è fuori”. 

 

Angela Leucci