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Maglie-Galatina-Otranto: triangolo letale

I dati Istat diffusi in questi giorni dalla Lilt di Lecce fotografano un Salento -in particolare l’area compresa tra i comuni di Maglie, Galatina ed Otranto- in cui il tasso di mortalità a causa di tumori, soprattutto quelli dei polmoni, è il più alto in tutta la Puglia con un trend in costante aumento negli ultimi vent’anni, in controtendenza con il resto dell’Italia. 
La colpa, secondo l’oncologo Giuseppe Serravezza, è dell’inquinamento atmosferico causato dagli ecomostri come l’Ilva di Taranto, il Petrolchimico di Brindisi, Cerano, ma anche le “nostre” Copersalento (ormai dismessa) e Colacem (in piena attività) 
 
Veleni nel vento, polveri sottili trasportate dall’aria, fiumi tossici spirati nell’atmosfera, soffiati via, cosparsi come semi del male da annusare, inalare, respirare. Il Salento non è solo la terra del bel mare, del sole, della taranta e del fascino esercitato sui turisti: è una terra malata, colpita da un male in costante espansione, che si chiama tumore nelle sue diverse e drammatiche declinazioni, ma con un unico marchio, che resta impresso nelle vite e spesso produce fatali conseguenze. 
Da Taranto a Lecce, passando per Brindisi, i dati appaiono inequivocabili, con una crescita esponenziale della gente che si ammala e che, purtroppo, muore di tumore: 250-260 decessi circa in più di media all’anno rispetto a quelli previsti, per colpa dell’incidenza ambientale. In particolare, nel 2008 ci sono stati 513 decessi (nel 1990 furono 368, ndr) per tumore ai polmoni tra la popolazione maschile e femminile in provincia di Lecce, contro i 200 di quella di Brindisi e i 307 di quella di Taranto nello stesso anno. 
L’asse del male viaggia dall’Ilva di Taranto ai fumi della Colacem di Galatina, dai veleni del Petrolchimico di Brindisi a quelli di Cerano, fino ai forni per troppo tempo accesi della Copersalento. Aria guasta con piogge di diossina in omaggio alla popolazione inerme, costretta a morire di tumore, da quasi 20 anni, in una silenziosa mattanza che molti (troppi) sembrano non voler vedere. I dati, forniti dall’Istat e ripresi in questi giorni dalla Lilt Lecce (Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori), sono incontrovertibili e non lasciano speranze di errore: l’aumentata incidenza ambientale di malattie tumorali è documentata in maniera tale da dimostrare come il Salento rappresenti l’area più inquinata della Puglia. 
Crescono vertiginosamente i tassi di cancro alla trachea, ai bronchi, ai polmoni e la risposta è nel vento, che trasporta diossina e tossicità dai poli industriali, contaminando aree lontane ed impollinando di tragedia e carcinomi la quotidianità degli individui: lo conferma uno studio dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr, che ha indagato sugli agenti inquinanti presenti nell’aria del territorio salentino, diventato di colpo un centro di tumori. Un’anomalia preoccupante, che necessita di soluzioni per contrastare le emissioni assassine. In un ventennio, il gap virtuoso del Sud rispetto al Nord dell’Italia è stato praticamente abbattuto. 
 
Mauro Bortone 
 
 

Serravezza: “Gli ecomostri ci stanno uccidendo”

 
L’aumento esponenziale della mortalità per tumore e del numero degli ammalati che si sta verificando in Puglia e soprattutto nel Salento sta allarmando l’opinione pubblica. In merito, abbiamo sentito il dottor Giuseppe Serravezza, responsabile dell’U.O.C. di Oncologia Medica di Casarano e Gallipoli, nonché presidente provinciale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori.
Dottor Serravezza, le analisi statistiche sono allarmanti. Cosa sta succedendo nel nostro territorio?
Si è purtroppo consolidato un trend iniziato ben vent’anni fa, quando notammo un preoccupante aumento del tasso di mortalità per cancro nella nostra provincia. In questo arco temporale è cresciuto di quasi il 50% ed è stato quasi annullato quel gap virtuoso di circa il 20-25% che differenziava il Sud rispetto al Settentrione. A rendere più drammatico questo quadro, è il tasso di mortalità per cancro ai polmoni, una patologia legata alla precarietà delle condizioni ambientali, così come i tumori della vescica e del sangue, cioè leucemie e linfomi.
A proposito di cancro ai polmoni, il tasso di mortalità registrato nel 2008 nella provincia di Lecce supera la media nazionale. Lei ha parlato di ambiente, è possibile che tutto ciò derivi non solo dai classici fattori di rischio (come può essere il fumo da tabacco) ma anche dall’aria che respiriamo? 
La gente fuma dappertutto e ad ogni modo l’elevata incidenza del cancro al polmone sulla mortalità della popolazione salentina è sufficiente per rendersi conto che esistono altri e più importanti fattori da individuare e su cui si deve intervenire. Alcuni anni fa abbiamo rilevato come l’area settentrionale di Lecce e il triangolo Maglie-Otranto-Galatina sono le zone che pagano il peggior tributo per morti da cancro ai polmoni. Si tratta di aree situate nei pressi di impianti industriali produttori di fumi nocivi e non è difficile ipotizzare che grazie ad un “gioco dei venti” queste sostanze raggiungano un territorio più ampio, pur senza escludere delle implicazioni dovute a situazioni ambientali autoctone. Ad ogni modo, la Copersalento a Maglie è un esempio emblematico.
In questi anni è stato dimostrato più volte come proprio la Copersalento fosse una fonte di emissioni nocive per la natura e per l’uomo, e le conseguenze si sono viste. Cosa può dirci in più al riguardo?
Già nel 2004 avevamo rilevato come l’impatto dell’impianto nel triangolo Maglie-Otranto-Galatina avrebbe potuto avere degli effetti drammatici; i dati parlavano chiaro. Da quel momento passarono però anni di silenzio fino appunto allo scoppio del “caso Copersalento” e fu solo allora che vennero presi quei provvedimenti che tutti però attendevano anni prima. Purtroppo questo ritardo non è passato indenne: il cancro è una malattia cronica e ciò significa che gli effetti di una contaminazione si pagano per molti anni a venire. Ci si ammala oggi per tutto ciò che si è respirato, mangiato o bevuto trent’anni prima. Questo concetto vale sia per la Copersalento, sia per tutti gli altri impianti la cui attività non è mai stata monitorizzata e che può essere stata fonte di un importante inquinamento ambientale.
Cosa si può fare concretamente per affrontare questo problema e fermare la carica distruttiva di questi ecomostri?
Bisogna innanzitutto prendere coscienza del quadro che abbiamo di fronte e non nasconderlo per evitare delle decisioni pesanti per i propri interessi economici. Dovremmo poi fare tesoro delle esperienze simili vissute 20-30 anni fa da parte dell’Occidente ricco e industrializzato, come l’Inghilterra o il nord Europa. All’epoca, quelle popolazioni pagarono il prezzo di errati modelli di sviluppo basato su una industrializzazione senza regole e misure di protezione; allora, però, non c’erano quella conoscenza scientifica e quelle esperienze consolidate di cui noi oggi possiamo avvalerci. È inaccettabile che alcuni impianti continuino ad operare nei pressi delle città pur sapendo che le loro emissioni avvelenano animali, terreni e gli stessi uomini. Bisogna salvare l’ambiente da queste pressioni ormai insostenibili e lavorare quindi sulle cause delle malattie, così da abbattere l’incidenza dei tumori. Dobbiamo evitare alle persone di ammalarsi e non illuderle su tecnologie avanzate in grado di curarle e guarirle, perché non è questa a realtà. 
 
Alessandro Chizzini