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L’Ordine Templare nella Terra dei Due Mari

L’architetto Salvatore Fiori, autore del libro I Templari in Terra d’Otranto, ci parla delle fonti storiche che gli hanno permesso di ricostruire le tracce del passaggio dei Cavalieri templari nel nostro territorio 
 
Un primo passo volto a ricostruire in maniera sistematica la localizzazione delle proprietà templari in Terra d’Otranto è stato compiuto da Salvatore Fiori, architetto novarese, il quale ha incrociato i riferimenti contenuti nella trascrizione del documento del 1308 con i toponimi locali sopravvissuti in Terra d’Otranto nelle mappe catastali, nelle memorie degli abitanti delle campagne e delle masserie, oltre alla consultazione dei documenti e della bibliografia salentina.
Nel suo libro I Templari in Terra d’Otranto (Edizioni Federico Capone) l’autore si è confrontato con la difficile individuazione di molti luoghi, descritti vagamente nel documento trecentesco, ma ha anche trovato dei significativi riscontri, che testimoniano la presenza dell’Ordine Templare prevalentemente attorno alla città di Lecce in adiacenza alle grandi vie commerciali salentine che da Lecce si diramavano, a raggiera, verso i porti dello Ionio e dell’Adriatico, con alcune fattorie che insistevano lungo la via mediana (l’antica strada dell’olio) che congiungeva Gallipoli ad Otranto. Occorre però fare una doverosa premessa, ossia che Le proprietà Templari in Puglia del 1308 redatto da Lectius De Incoronato sono solo una parte di quelle presenti fino al secolo precedente. Ciò è dovuto all’esproprio di molte proprietà operato da Federico II ai danni dei Templari, verso i quali l’imperatore svevo nutriva un vero e proprio astio, al contrario di una leggenda che purtroppo circola nei sottoboschi della ricerca storica che vorrebbe i Templari finanziatori di Federico II o addirittura costruttori di Castel del Monte.
Nell’ambito della letteratura scientifica sulla presenza templare in Terra d’Otranto mancava un testo che verificasse la corrispondenza effettiva con luoghi reali di luoghi semplicemente elencati su un’antica pergamena. Quale metodologia ha adottato nella sua ricerca? 
Le origini salentine (per parte di madre), la confidenza con le bellezze monumentali di questa terra e non ultima l’esperienza ventennale nel campo della ricerca storica sui Templari, sia in Piemonte che nel Salento, mi hanno indotto ad affrontare questo studio partendo da quello che gli altri non avevano mai fatto prima: cercare un riscontro incrociato dei nomi di luoghi su cui insistevano le proprietà immobiliari della precettoria leccese (elencati nella pergamena pubblicata da Hans Prutz, nel 1888), con quanto emerso dalla la vecchia mappa IGM,  dalla bibliografia storica (si vedi ad es. La Lecce Sacra del 1634, dell’Infantino), dalla toponomastica locale anche orale, dalle visite pastorali  e, per quanto è stato possibile, con gli studi locali pubblicati ed a  me accessibili. 
La novità del mio lavoro è consistita anche nell’integrare le ricerche personali di molti studiosi con la specifica interpretazione “templarista” di luoghi, nomi e personaggi che hanno così determinato la verifica indiscutibile, quale comprova della validità e autenticità del documento aragonese, oggi scomparso: inequivocabilmente! 
Dal suo libro emergono alcune discordanze in riferimento ad alcuni dei siti elencati nel documento angioino con gli odierni toponimi, mentre invece, per altri, non sembrano esserci dubbi. Con quale criteri toponomastici o architettonici si può riferire ai Templari una località? 
In epoca antica (ma questo anche fino al XIX secolo) non era assolutamente determinante l’esatta trascrizione di un nome o di un luogo (ad esempio Maglie viene definita, nella stessa epoca angioina e templare, “Malle” o “Mallie”). L’associare il luogo antico, citato nel documento ora studiato, alla toponomastica attuale può essere avvalorato solo grazie alla continuità della documentazione e alla verificata mutazione del termine topografico: esempio eclatante nel mio studio è proprio l’identificazione del toponimo trascritto di “Tursani” con l’attuale “Torcito” poiché questo nel 1373 era identificabile con certezza nel “Casalis Turse”, quindi Tursani=Turse=Torcito. In alcuni casi si è dovuto fare un acrobatico lavoro di “traslitterazione” o “rotacismo” nella composizione dei nomi dei toponimi, per capirne l’evoluzione letterale: questo lavoro è comunemente applicato dagli studiosi per moltissimi toponimi rilevati e studiati, in tutto il territorio italiano. 
Esiste una comune tipologia architettonica in ciò che sopravvive degli edifici templari salentini?
Innanzitutto, bisogna tenere presente che tutti i tenimenti e masserie salentine di proprietà templare, erano unità produttive agricole, che potevano anche essere dotate di cappella (solo le più grandi ed importanti), ma erano sempre costruzioni austere e molto essenziali, come similmente lo era, per tradizione generale, la precettoria che, pur essendo una precettoria importante ed evidentemente ricca, si presentava come una spartana masseria, benché posta all’interno della città di Lecce, per quei tempi, dotata di un certo decoro e di recente ricostruita dal conte di Brienne. 
In generale, le cappelle templari erano ad aula unica con tetto a due falde, coperte da travi e tegole: in Salento era tipica la copertura a “cannicciata” con gli embrici soprastanti. In tutta Italia queste cappelle avevano in facciata un semplice portale d’ingresso sovrastato da un severo rosone strombato: l’interno semplice e con pochi apparati decorativi. A questa tipologia sembra avvicinarsi la cappella del Crocefisso, dell’antico casale di Porcilliano. Sempre che questa chiesa fosse appartenuta ai Templari, giacché in quel tenimento essi vi possedevano solo una pezzo di terra (ancora nell’Ottocento riconoscibile dal toponimo “Tempia”). 
A quali conclusioni è giunto?
Penso che i Templari in Salento utilizzassero chiese già presenti sul posto, come si può dedurre dall’analisi del tenimento templare di Ruge, ove l’Infantino (pur non accennando alla presenza dei Templari) ricorda l’esistenza dell’antica cappella “alla greca”, quindi come le cappelle citate prima, divisa in due ambienti da un arco, il naos (l’aula destinata ai fedeli) e il bema (o presbiterio): la vecchia cappella, che sorgeva sopra i ruderi di un tempio pagano, era diroccata e rovinata dal lungo abbandono quando fu ricostruita nel 1533 dai padri Cappuccini allorché vi fondarono il loro primo convento leccese. Alla tipologia templare, tradizionalmente italiana (portale con rosone soprastante, aula unica e tetto a due falde), potrebbe fare parte la cappella di Santa Maria del Tempio di Tricase, ma di questa cappella, pur appartenente agiograficamente a certa tradizione templare, non si hanno documenti che lo provano. 
 
Vincenzo Scarpello