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L’esodo dei nuovi poveri

Il sud Italia è in continua recessione. Una depressione economico-finanziaria che da sette anni consecutivi sta strozzando il settore industriale e manifatturiero, in costante deficit produttivo rispetto a quanto accade nel comparto artigianale e nel mondo delle imprese del Centro-Nord. Conseguenza diretta di questa impietosa fotografia scattata dal Rapporto Svimez sullo sviluppo economico del Mezzogiorno, è l’impennata dei flussi migratori verso il Nord, con una portata drammaticamente simile alle ondate bibliche di migranti del secondo dopoguerra. Se, infatti, le regioni italiane del Nord attirano e smistano al loro interno consistenti masse migratorie, il Sud continua ad espellere giovani laureati e manodopera, senza rimpiazzarli con pensionati, stranieri o nuovi individui provenienti da altre regioni. Ed è la carenza di domanda di figure professionali di livello medio-alto a costituire la principale spinta all’emigrazione.
In poco più di dieci anni, dal 1997 al 2008, ben 700mila persone hanno abbandonato la sterilità produttiva meridionale per cercare fortuna nella fecondità del circuito aziendale settentrionale e oltre l’87% di questi nuovi poveri ha staccato il biglietto da Puglia, Campania e Sicilia. A stroncare le velleità occupazionali dei giovani cervelli meridionali, laureati in cerca di un destino professionale che spesso si frantuma in una miriade di lavori sottopagati e non in grado di perfezionare le competenze acquisite dopo anni di studi universitari, ci si mette una realtà economica autarchica e familistica, incapace di intercettare investitori e turisti stranieri. L’accesso al credito per le imprese del Sud resta un grosso problema che va a oscurare la zona grigia della disoccupazione, in costante crescita con un tasso galoppante verso il 22%. Percentuali che attestano un divario tra Nord e Sud del Paese in preoccupante escalation e che ha indotto anche il nostro presidente Napolitano a spronare il governo a varare una precisa ed efficace politica economica nazionale volta a colmare tali squilibri territoriali.
A ben guardare, questo gap economico-culturale ha tagliato l’Italia in 2 porzioni disuguali sin dai primi momenti della sua definizione statale, quando ad essere unite furono cornici regionali che avevano già intrapreso rotte produttive completamente diverse. La “questione meridionale” sembra essere tristemente attuale, come un tarlo ostinato che consuma pian piano anche la più forte delle fibre.

 

Cinzia Rubano