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Le protagoniste del riscatto del pomodoro salentino

 Francesca Casaluci: (Salento Km0): “Insieme per costruire un nuovo futuro legato alla terra”

 

Nata nel 2011 a Galatina, l’associazione Salento Km0 si impegna nella diffusione della conoscenza del patrimonio ambientale e culturale della provincia di Lecce. Sostiene e mette in rete una serie di realtà che operano nell’agricoltura in maniera differente, coltivando secondo metodi sostenibili, salvaguardando la biodiversità agricola, proponendo nuovi rapporti con la terra e il cibo, alternativi al modello dominante. 

Un ritorno alla terra partita con la riscoperta di 20 varietà agricole tra ortaggi e frutti, un numero che negli anni è aumentato, rafforzando il loro progetto. E questo grazie anche alla collaborazione instaurata con la Casa delle Agriculture, come ha spiegato Francesca Casaluci, esponente di Salento Km0: “Entrando in contatto con i contadini del territorio, siamo entrati in possesso di tante informazioni sui semi, soprattutto quelli relativi a varietà differenti di pomodoro, alcune delle quali donate proprio alla Casa delle Agriculture. Si tratta delle varietà migliori del Salento, perché si adattano perfettamente alle caratteristiche climatiche, ambientali e biologiche del nostro territorio; alcune sono anche adatte all’aridocoltura, consentendone così la crescita anche in zone prive di acqua. Siamo felici che queste varietà si trovino qui a Castiglione, un vero e proprio contenitore della biodiversità”. 

Oggi Salento Km0 è diventata un punto di riferimento per chi cerca particolari informazioni sulle coltivazioni agricole, per chi ha bisogno di reperire particolari prodotti, siano essi privati o aziende commerciali: “Insieme alla Casa delle Agriculture vogliamo fare rete e costruire un progetto comune che porti alla costruzione di un futuro su basi sì faticose, ma che può dare la possibilità di autodeterminarsi, di essere padroni di sé stessi, definendo nuove politiche e lanciando messaggi etici e sociali”. 

 

 

 

Rosa Vaglio (Diritti a Sud): “La coltivazione del pomodoro come strumento di riscatto sociale”

 

Diritti a Sud nasce nel 2014 dall’esperienza del comitato No Cap, operante dal 2009 nelle campagne di Nardò per l’integrazione e la difesa dei diritti dei braccianti extracomunitari impegnati stagionalmente nel lavoro agricolo e vittime del caporalato. La loro attività ha il fine di garantire agli stranieri i diritti fondamentali dell’essere umano (casa, cure mediche, istruzione e lavoro), senza sostituirsi però alle istituzioni, ma fornendo loro il giusto supporto, anche grazie al contributo di alcuni professionisti. 

Tra corsi di italiano gratuiti e un progetto di autorecupero di un rudere, tra le altre cose, Diritti a Sud ha avviato “Sfruttazero”, progetto di agricoltura sociale che occupa alcuni ragazzi del ghetto di Nardò nella lavorazione della terra, curandone l’intera filiera produttiva. Da quando è partito, questo progetto si è concentrato sulla produzione di salsa di pomodoro, marmellata di uva e olio extravergine di oliva, ma come spiega la presidentessa Rosa Vaglio, il primo rappresenta il business principale della loro attività: “La salsa Sfruttazero incarna più degli altri quella che è la nostra missione: il pomodoro, infatti, può essere considerato il simbolo dello sfruttamento e del caporalato. Siamo ora intenzionati ad aumentarne la produzione, lavorando sempre insieme ai migranti e continuando a curare tutti gli aspetti di questo lavoro, portato in rete tra Nardò e Bari”. 

L’associazione neretina considera quindi l’agricoltura come uno strumento di riscatto sociale, “come un mezzo per creare lavoro e per dimostrare che si può lavorare in agricoltura senza sfruttare le persone o inquinare l’ambiente”. Nel futuro di Diritti a Sud anche la volontà di riuscire a recuperare varietà agricole locali, partendo anche dalla collaborazione con Casa delle Agriculture. 

Roberta Bruno (Arci Club Gallery): “L’agricoltura naturale protagonista di una nuova rivoluzione economica”

 

“Acqua che nasce dalla terra e che la terra inghiotte”. Questo è il significato del termine greco “haradra” da cui deriva la parola Karadrà, il progetto che da tre anni sta portando avanti l’associazione Arci Club Gallery di Aradeo. Il riferimento è al fenomeno carsico che interessa la zona che va dai feudi di Collepasso, Cutrofiano, Aradeo e Galatina al Canale dell’Asso, l’unica struttura idrica salentina composta dal canali superficiali naturali che finiscono in dore e voline e inghiottiti poi a Nardò. Karadrà sfrutta la particolare terra della zona dell’Asso, molto argillosa e in grado di trattenere l’acqua così da consentire alla biodiversità dell’area di non aver bisogno di un apparato idrico. 

“Karadrà -spiega la presidentessa Roberta Bruno– nasce per fare un’agricoltura non invasiva e che non sprechi le risorse. D’altronde il primo fattore inquinante oggi è l’agricoltura industrializzata e l’acqua è la principale risorsa da tutelare, anche perché il Salento è a rischio desertificazione”. I ragazzi di Karadrà hanno quindi riscoperto le tecniche di aridocoltura, sparite con l’avvento dell’agricoltura industriale, e hanno così recuperato la biodiversità locale, “in particolar modo il pomodoro d’inverno, le ‘pende’, di colore arancione-giallo, con caratteristiche importanti e che, oltre a rappresentare un sistema di approvvigionamento e di lavoro, costituisce un simbolo dell’agricoltura, del mondo, del tempo dell’uomo paragonato a quello della natura”. 

I ragazzi di Karadrà hanno la convinzione che è possibile avviare una nuova rivoluzione sulla scia di una nuova economia circolare che abbia al centro l’agricoltura naturale: “Il comparto agricolo italiano registra una crescita del 26%, ma il Sud sembra non accorgersene -conclude Bruno-, così come si parla di disoccupazione con tanti terreni agricoli abbandonati”. 

 

Alessandro Chizzini