La vittoria contro i tarantini del 473 a.C. aveva certamente galvanizzato la dodecapoli messapica, ma aveva lasciato tracce veramente pesanti sul loro reame, con la distruzione dei contadi e due città rase al suolo Sybar (Cavallino) e Carbinia (Carovigno). La lezione per i tarantini fu durissima: nella città ionica i vincitori costrinsero i vinti a mutare la propria forma di governo, rinunziando all’aristocrazia guerriera imposta dai parteni, per adottare la mitezza di una società democratica.
Frattanto i Messapi non esitarono a prevenire l’espansionismo tarantino nello Ionio, tagliando in due l’asse di alleanza tra Tarantini e i Reggini. Una colonia fu infatti congiuntamente fondata da messapi ed ateniesi, che proprio in quegli anni vivevano i fasti del fortunato periodo di imperialismo democratico di Pericle. La contingenza politica non era delle più facili, dal momento che i coloni greci inviati da Pericle al fine di rifondare l’antica Sibari distrutta nel 510 a.C. si erano scontrati coi vecchi abitanti, che volevano avere, al pari degli spartiati, una sorta di superiorità sui nuovi arrivati, i quali, dopo averli sconfitti, nel 444 a.C. decisero con gli ecisti (fondatori di città) inviati da Pericle, Lampone e Xenocrito, di fondare una nuova colonia, nei pressi di una sorgente, chiamata Thurioi.
I tarantini non poterono tollerare questo affronto così diretto alle proprie ambizioni espansionistiche, trovandosi da un lato l’ostile Messapia e dall’altro la colonia Ateniese di Turii alla cui fondazione tentarono invano di opporsi. L’esercito tarantino si limitò a conquistare l’avamposto strategico di Siri e rafforzò la propria posizione fondando nel 443 la Città di Eraclea (Policoro) dall’altro lato del fiume Sinni.
I Messapi ed Atene
L’alleanza con Atene si fece sempre più stretta, come testimoniano le nuove intitolazioni in terra messapica di Templi precedentemente dedicati alla Dea madre, alla divinità tutrice della città attica ed i Messapi trassero vantaggio non solo in termini politici dalla vantaggiosa alleanza stipulata ai tempi di Pericle, ma anche in termini economici.
Frattanto la sanguinosa guerra che infiammava le città greche, storicamente nota come Guerra del Peloponneso, si spostò nello scenario sud italiano, con la rivalità tra la ionica Reggio e la dorica Siracusa. La pace di Nicia del 421 a.C. creò solo un disequilibrio strategico, del quale si avvantaggiò Atene, guidata da Alcibiade, nipote di Pericle. Il casus belli fu fornito dal conflitto tra le città siciliane di Selinunte, alleata dei Siracusani e Segesta, alleata degli ateniesi, i quali allestirono una flotta di 134 triremi per trasportare un esercito imponente di 30mila uomini tra cui 5mila opliti, cui si aggiunsero la fanteria leggera di arcieri e frombolieri.
Ad attenderli il potentissimo esercito di Siracusa, che si rinchiuse nella città fortificata. Nella primavera del 415 a.C. giunsero in aiuto degli ateniesi i rinforzi alleati, soldati di Segesta, Agrigento, Naxos, Thurii, Metaponto nonché i due popoli fratelli, Etruschi e Messapi. Il più grande fra i re Messapi, Artas, inviò a sostegno degli assedianti un contingente di 150 lanciatori di giavellotto, che purtroppo servirono a ben poco, dal momento che la spedizione ateniese in Sicilia si trasformò in una disfatta di immani proporzioni, con oltre 43mila caduti falcidiati dai siracusani e dagli spartani che erano intervenuti nel conflitto a sostegno dei siracusani.
Una sconfitta di tali proporzioni ebbe i suoi riflessi anche nello scenario strategico ionico, con i tarantini, galvanizzati dalla vittoria degli alleati spartani contro gli ateniesi ed i Messapi che guardavano con preoccupazione l’evolversi della situazione in Sicilia, dove, in seguito alla vittoria dei nemici Siracusani, erano sbarcati i cartaginesi. I siracusani, per contrastare il pericolosissimo nemico, si erano affidati ad un validissimo generale, Dionisio, che ben presto divenne tiranno della città.
Ma le alleanze mutarono molto presto: i vecchi nemici siracusani divennero amici per i messapi, che non esitarono ad allearsi con il potentissimo Dionisio, il quale, dopo aver sconfitto i cartaginesi, iniziò ad espandere i suoi domini in tutta Italia, fino ad assediare l’etrusca Cerveteri. Nel 389 AC fu lo stesso tiranno siracusano a richiedere a messapi e lucani un’alleanza al fine di combattere le città greche della lega italiota, guidata da Reggio. La disfatta di Reggio nel 386 a.C. fu totale e mise al riparo i messapi dal pericoloso concorrente ionico.
Archita mira alla Messapia
A Taranto, però, un pericolosissimo nemico era sorto, il grande stratega Archita, il quale risolse di colpire l’eterno rivale messapico nel suo punto più debole, ossia l’unità della dodecapoli. Nel 360 a.C. circa, Archita riuscì a colpire al cuore la rete commerciale messapica, occupando i porti di Anxa (porto di Aleiton) e la stessa Brention (Brindisi). Così facendo riuscì a rompere l’unità politica della dodecapoli, faticosamente tenuta assieme da Artas negli anni precedenti, e dando inizio al declino dello stesso istituto della stessa lega sacra. Sul campo di battaglia la seppur forte fanteria di linea delle città salentine rimaste fedeli alla sacra lega, con la fanteria leggera d’appoggio e le ali di travolgente cavalleria, non riuscirono a prevalere sulle innovazioni tecniche introdotte nel corso della guerra del Peloponneso ed abilmente utilizzate dagli alleati di Archita, che si vuole primo teorizzatore dell’impiego campale dell’artiglieria, a quei tempi composta dalle catapulte e dalle altre macchine da battaglia, contro le quali evidentemente nulla poté il valore della cavalleria messapica. La Messapia tuttavia non risultò sconfitta dalla guerra, e nemmeno Archita riuscì a piegarla al suo volere, ma solo ad indebolirla notevolmente, tanto che lo storico romano Tito Livio, riferendosi alle città messapiche, disse che, da queste guerre intestine, le stesse, una volta potenti, erano state ridotte al rango di villaggi.
Vincenzo Scarpello