Le banche si difendono dall’accusa di concedere con molta difficoltà un prestito invocando la necessità di garanzie e puntando il dito sugli errori ricorrenti nei progetti d’impresa
Dalle banche giurano che nonostante il periodo di crisi, nessun cliente sia stato finora penalizzato nell’accesso al credito. Anzi, proprio tenuto conto del delicato momento economico sono state messe in piedi una serie di iniziative per permettere alle piccole e medie imprese, all’economia reale, di tirare avanti. Da Unicredit ad esempio, sono stati stanziati 5 miliardi di euro, portati recentemente a sette, proprio per aiutare gli imprenditori a superare il momento. Tuttavia, nella concessione del credito si tiene conto che i soldi devono rientrare: “Le banche non stampano carta moneta, gestiamo i soldi dei clienti”, spiegano i funzionari interpellati. È chiaro quindi che un’azienda davvero in crisi, pur essendo la più bisognosa, rischia di essere ritenuta inadeguata ad ottenere il credito, perché metterebbe in crisi l’intero sistema di rientro.
Per ottenere un fido, le aziende devono anzitutto dimostrare di essere “meritevoli”. Non si tratta, ovviamente, di una categoria morale ma del risultato di un complesso calcolo di variabili sopratutto numeriche, che permettono di stabilire se le basi dell’impresa siano solide e sane, quindi in grado cioè di superare il periodo di difficoltà. Per poter finanziare il maggior numero di imprese, le banche hanno sottoscritto una serie di accordi con associazioni di categorie e confidi (questi ultimi, una sorta di consorzi tra aziende che si fanno garanti presso le banche, svolgono un ruolo chiave). Tra le banche c’è chi ha tirato la cinghia del credito, ma paradossalmente, il Mezzogiorno regge. La spiegazione sembra una sola: nonostante i segnali, la ripresa economica si farà sentire verso la metà del 2010, ma da noi la crisi vera e propria non si è manifestata. Il terziario, infatti, resta in piedi e secondo le banche, non determina un calo dei consumi determinante. Nel Nord, dove ci sono le grandi industrie, la gente va in cassa integrazione e consuma di meno; per questo motivo, nonostante alcune centinaia di cassaintegrati nella provincia di Lecce, a limitare le spese resta -secondo le banche- un mero fattore psicologico, dunque passeggero.
Ma veniamo all’accesso al credito. Per aprire un ristorante potrò accedere ad un finanziamento del 70% destinato ai soli investimenti fissi. Dovrò dimostrare la solidità delle mie motivazioni, di avere un’esperienza pregressa, che l’impresa possa camminare sulle proprie gambe, di avere svolto una piccola indagine di mercato, ma anche di avere già una piccola parte dei mezzi. Il finanziamento massimo erogato è, infatti, di 50mila euro. Per erogarlo, le banche si rivolgono al Mediocredito, una banca che gestisce i fondi e rilascia le garanzie alle banche. Tra le sue iniziative c’è quella dedicata alle nuove imprese, il cosiddetto “start up”, che consente ai neoimprenditori di mettersi in proprio. Poi ci sono una serie di accordi,; quello con Casaartigiani, Cia, Coldiretti, Cna, Compagnia delle opere e, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio e Confindustria. Insieme alle federazioni dei Confidi (Creditagri, Fedarafcomfidi, Fedarp Fidi, Federconfidi, Fincredit). Le variabili sono il tipo di attività, il mercato a cui si rivolge, gli investimenti fatti in passato, le prospettive di sviluppo, personale.
Di solito, quando l’azienda è in crisi, è perché c’è un errore nel progetto d’impresa. Ogni azienda, chiaramente, rappresenta un caso a sé, un universo, ma il criterio si riduce principalmente all’equilibrio strutturale. Un altro esempio: se un bar ha pochi clienti, è chiaro che si cercherà di sostenerlo con interventi mirati, aspettando che la congiuntura negativa passi.
Alessandra Lupo