Di Vincenzo Scarpello
Il fenomeno della religiosità nelle grotte, costituisce la cifra spirituale dell’identità culturale del Salento nel corso dei primi anni della sua civilizzazione. Le tante grotte naturali nelle quali si rifugiava l’uomo del paleolitico, iniziando la costruzione di capanne e la coltivazione della terra, iniziarono ad essere svuotate del loro ruolo abitativo, tuttavia conservando quello religioso. Ma ben presto i ritmi di vita meno incalzanti rispetto a quelli delle popolazioni nomadi e raccoglitrici, portarono l’uomo del neolitico ad un processo di ulteriore introspezione, che si trasformò in un’osservazione più attenta della natura e dei suoi fenomeni, ai quali l’uomo primitivo ricollegò un significato sacro.
Il cuore di questa primordiale, archetipica, ancestrale Identità può essere riassunta in due termini: il Sangue e la Terra. Il Sangue, simbolo della vita, senza il quale le creature viventi non possono sopravvivere, è ciò che di più sacro l’uomo può donare alla Divinità, per propiziarsi un felice raccolto o una caccia fortunata, o una fertilità che consenta la prosecuzione della stirpe. Il sangue che è legato ai processi naturali di fertilità femminile e che è l’elemento più evidente durante le fasi cruente del parto. Il Sangue degli animali uccisi per nutrirsi, che è il fluido sacro che deve essere magicamente sparso dai cacciatori, come può essere riscontrato dalle ritualità di quelle popolazioni che ancora vivono in uno stato semi-selvaggio, prima di affrontare una battuta di caccia e col quale è ancora oggi, per una tradizione che ha superato i secoli, asperso il volto del cacciatore che uccide la sua prima preda. La Terra, la Madre della vita, che nutre i suoi figli e richiede agli stessi, in una sorta di magico baratto, un tributo minimo di sangue per garantire la sua fertilità e la prosecuzione della vita.
Ma prima di trattare degli altari che i primitivi salentini eressero alla dea madre terra ed al suo sposo cielo, ci soffermeremo su un monumento insolito, un megalite custodito nell’omonima Chiesetta a Calimera, aperta solo il giorno di Pasquetta, dove tutt’oggi si ripete un rito tanto antico quanto suggestivo. È una pietra larga circa un metro, con un foro in basso con diametro di appena trenta centimetri. Ma più che la pietra in sé è affascinante la tradizione che tale arcano monumento porta dietro di sé: si vuole infatti che chi voglia ottenere la fertilità debba passare all’interno della strettissima apertura in una sorta di magica rinascita dall’utero della Madre terra dalla sterilità della morte alla vita della fertilità. Ed altrettanto bizzarra è la circostanza che chiunque vi riesca a passarvi, indipendentemente dalla sua corporatura.
Evidentissima l’appartenenza del rituale connesso a tale megalite a quella civiltà che l’archeologa lituana Marija Gimbutas definiva “pre-indoeuropea… matrifocale e probabilmente matrilineare, agricola e sedentaria, egualitari a e pacifica. In netto contrasto con la successiva cultura proto-indoeuropea, patriarcale, stratificata, dedita alla pastorizia, nomade e bellicosa, instauratasi in tutta Europa, eccettuate alcune aree a sud e a ovest, durante tre ondate di invasioni dalle steppe russe, tra il 4500 e il 2500 a.C.”.
Tale teoria scientifica, suffragata dagli studi dello psicologo Carl Gustav Jung e dal più grande storico delle religioni, il cattolico Mircea Eliade, comprende una vastissima area del Mar Mediterraneo, dall’Italia centro-meridionale alla Grecia, Balcani e area danubiana, Creta, Mar Egeo, Anatolia e sponde occidentali del Mar Nero. Ed è straordinario il fatto che proprio in queste terre si sviluppò una civiltà con tratti comuni, che venne poi scacciata dalla prima civilizzazione indoeuropea, da quegli eroi con armi di bronzo ricordati nei racconti epici che combatterono Troia, che vagarono per il Mediterraneo alla ricerca di nuove terre da colonizzare, portatori di una nuova religiosità politeista di stampo patriarcale, che assorbì e rielaborò le antiche religioni matrifocali. Un processo di rielaborazione religioso che è sopravvissuto fino ai nostri giorni, come testimonia la cristianizzazione di questi luoghi sacri alla vecchia religione. E l’antica pietra di Calimera ne costituisce la conferma più significativa.
Per approfondimenti: http://www.salentomegalitico.it/TerraMater.htm