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“La Messa in rito antico è un’autentica espressione di fede”

Ne è fermamente convinto Giuseppe Capoccia, Sostituto Procuratore presso la Procura di Lecce e promotore dell’Associazione “Luigi Pappacoda”, il quale ha descritto la particolare cerimonia che si svolge ogni domenica mattina presso la Chiesa di San Francesco di Paola a Lecce 

 

Giuseppe Capoccia, oltre ad essere Sostituto Procuratore presso la Procura della Repubblica di Lecce, impegnato in prima persona nella lotta alla criminalità organizzata del territorio salentino, è anche membro dell’Associazione “Luigi Pappacoda” (in onore del celebre Vescovo di Lecce che nel ‘600 approvò l’elezione dei Santi Oronzo, Giustino e Fortunato a patroni della città e commissionò Duomo e campanile) che propone la diffusione nelle diocesi pugliesi della Messa in rito antico. L’associazione “Luigi Pappacoda”, oltre ad organizzare incontri e conferenze sulla sacra liturgia, sulla musica e l’arte sacra, ha come principale obiettivo l’assistenza (attraverso il prestito di paramenti sacri e la stampa libretti della Messa) a quei sacerdoti e quelle comunità di fedeli che intendessero celebrare e partecipare a quella particolare forma liturgica risalente, nelle sue ritualità e nei suoi tempi, al Concilio di Trento. 

In piena adesione ai Principi del Concilio Vaticano II, ed in comunione Pastorale con i Vescovi delle Diocesi dove la Messa in rito tridentino viene celebrata, l’associazione “Pappacoda”, da diversi anni opera nella realtà leccese dove, nella Chiesa di San Francesco di Paola ogni domenica alle 11, organizza quei fedeli che hanno questo particolare carisma liturgico. Anche Papa Francesco, nella sua spartana visione gesuitica della teologia e della liturgia, non ha mai rinunziato alla Messa in lingua latina ed a quanti gli hanno chiesto un passo indietro sul punto, ha sempre risposto con dolce fermezza il suo risoluto no. Sull’attività dell’Associazione “Pappacoda” il dottor Capoccia ha risposto a Belpaese su alcuni tra i più attuali quesiti riguardanti la Messa in rito tridentino. 

Dottor Capoccia, come nasce a Lecce il gruppo che partecipa alla Messa in rito antico?

Se pensiamo solo alle date, l’iniziativa è partita cinque anni fa con alcuni amici; ma se ripenso agli incontri, alle occasioni, alle difficoltà ed alle inaspettate alleanze, dico, con semplicità, che non è opera nostra. Negli anni, tanti volti sono cambiati, abbiamo dovuto spostarci da diverse chiese (non per nostro gusto!), abbiamo incontrato nuovi amici e qualche avversario ma, grazie a Dio, siamo riusciti a dare continuità alle celebrazioni, così che anche il gruppo è ormai ben stabile. 

Ma sono solo curiosi, persone che vivono fuori dal tempo o fuori dalla realtà della Chiesa?

Noi non siamo un’associazione e la Messa è pubblica: chi vuole entra liberamente e partecipa, senza che qualcuno chieda iscrizioni o tessere! Probabilmente, la molla della curiosità ha fatto compiere ad alcuni il primo passo. Ma siccome sono molti quelli che ritornano di domenica in domenica, vuol dire che hanno scoperto la fonte spirituale che cercavano. Sono per lo più persone che hanno rimesso in gioco la loro fede che si andava affievolendo a motivo della sempre più forte secolarizzazione della società e che non trovavano nella messa moderna il cibo spirituale e dottrinale necessario per alimentare il loro amore per Cristo. 

Chi frequenta la messa in latino si chiude in una “riserva indiana”?

Per anni la messa tradizionale è stata considerata vietata. Poi, nel 1984 e nel 1988, il beato Giovanni Paolo II ha consentito ai Vescovi di poter autorizzare questa liturgia. Il quadro normativo manteneva tuttavia i fedeli tradizionali ai margini della Chiesa diocesana, avendo diritto (quando veniva concesso) solo alla messa (niente catechismo, nessun accesso libero ai sacramenti secondo la forma tradizionale, ecc.).  Il 7 luglio 2007 Benedetto XVI ha fatto un passo decisivo ed ha ripristinato una situazione di giustizia e di carità. Lo sviluppo della messa tradizionale si fa ormai principalmente nelle parrocchie, perché sono i parroci a decidere se accogliere o meno le domande dei fedeli. E questa dimensione parrocchiale mi pare il miglior vaccino contro la ghettizzazione che ha potuto esistere ed esiste purtroppo ancora  qua e là, sia per volontà ecclesiastica sia, lo devo ammettere, anche per un certo timore di tali fedeli ad inserirsi pienamente nella vita ecclesiale locale, dopo decenni di ostracismo.

Si può organizzare nella propria Diocesi una Messa in rito antico?

Se si tratta di una messa puntuale, ossia per un pellegrinaggio, per un sacramento (matrimonio, esequie), basta fare la domanda al rettore del santuario o al parroco che hanno l’obbligo di accogliere la richiesta, purché ci sia un sacerdote idoneo disponibile (in sostanza, che sappia celebrare la messa tradizionale e che sia in regola con le autorità ecclesiastiche). Se si tratta di una messa periodica, occorre che si costituisca un gruppo stabile di fedeli, un coetus fidelium: non è richiesto un numero minimo di componenti e non occorrono né forme particolari né speciali adempimenti burocratici. In concreto, bastano due o tre persone che raccolgano le firme di qualche fedele (meglio se si tratta di famiglie) per formulare al parroco la domanda di applicazione del motu proprio Summorum Pontificum. 

È fondamentale la disponibilità di un sacerdote in grado di celebrare la Messa in rito antico. 

Finora pochi parroci o vice-parroci sanno celebrare il rito antico, visto che non l’hanno imparato in seminario. Ribadisco, però, che non è previsto un numero minimo di firmatari; ho ascoltato sul punto tante chiacchiere maliziosamente diffuse: i documenti ufficiali (Istruzione Universae Ecclesiae) parlano di “alcune persone”, e riconoscono pure i “gruppi numericamente meno consistenti”. È anche possibile costituire gruppi di fedeli provenienti da più parrocchie o addirittura da Diocesi diverse.

Perché tanta diffidenza da parte del clero?

Vedo due tipi di diffidenza: una di stampo ideologico, che si ritrova fra i sacerdoti ordinati negli anni ’70, e un’altra di stampo pastorale, che riguarda preti più giovani, ordinati negli anni ‘80, i quali si danno molto da fare per far vivere le loro parrocchie e crollano sotto il loro stesso attivismo. Invece di vedere la nostra richiesta della Messa antica come una ricchezza, uno strumento ulteriore di evangelizzazione, la vedono come un peso in più. Spesso non capiscono la differenza fra le due liturgie e pensano che ci potremmo accontentare aggiungendo un po’ di latino e di gregoriano a una delle loro messe. 

Come rispondere?

In entrambi i casi io vedo un equivoco di fondo: l’idea che la richiesta della messa tradizionale non esprima una vera esigenza spirituale, ma un atteggiamento culturale, una moda intellettuale. Devo dire, però, che quando i diffidenti cercano di approfondire le cose senza pregiudizi, non hanno difficoltà a ricredersi e a capire che il desiderio della liturgia tradizionale nasce dalla fede sincera dei richiedenti.

Si dice che i fedeli, non comprendendo il latino, non parteciperebbero in maniera consapevole.

La Messa antica, per la sua struttura, sfugge a tutte le interpretazioni che si avvertono nella messa moderna; è più silenziosa, più sacra, rivolta ad orientem, rende maggiormente presente Cristo in mezzo ai fedeli. La partecipazione dei fedeli non è passiva così come si dice ma molto attiva, perché debbono accompagnare la preghiera del sacerdote con le loro preghiere, con il loro inginocchiarsi, con il loro silenzio. Se interiorizziamo compiutamente ciò a cui ci spinge la liturgia tradizionale, capiamo che non ci è richiesto di fare tante cose, ma di essere una cosa sola con ciò che avviene sull’altare, e di fare di noi stessi un sacrificio vivente gradito a Dio. La Messa antica richiede, esige la partecipazione del cuore, impedisce qualunque superficialità: è una palestra di vero attivismo spirituale!

Molti dicono che Papa Francesco abbia operato una rottura col passato anche per quanto riguarda la liturgia.

Ci vorrà ancora un po’ di tempo per giudicare sotto l’aspetto liturgico il pontificato presente. Ciò che è ovvio è che Papa Francesco non ha la sensibilità liturgica di Papa Benedetto; ma questo non basta per dire che non consideri anche lui la liturgia e in particolare la celebrazione eucaristica come fons et culmen della vita della Chiesa, anzi. L’importanza data alla sua celebrazione quotidiana a Santa Marta mi lascia pensare che non c’è evangelizzazione che non scaturisca dalla sacra liturgia.  

 

Vincenzo Scarpello