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I leccesi snobbano le piste ciclabili

L’entusiasmo per le piste ciclabili si è ormai raffreddato e oggi le stesse sono inesorabilmente deserte. Il sindaco Perrone in più occasioni ha affermato che è stato fatto un buon lavoro, ma i leccesi continuano a spostarsi in auto

 

Anche Lecce ha le sue piste ciclabili, lo sappiamo tutti. La città si è classificata al 38esimo posto (seconda città del Sud alle spalle di Agrigento, classificata al 30esimo posto) in una graduatoria stilata da Legambiente sulla pedonabilità e ciclabilità delle città italiane. Lo studio ha considerato quattro parametri: estensione delle isole pedonali, delle zone a traffico limitato, del verde urbano, presenza di piste ciclabili. A Lecce la possibilità di spostamento sulle due ruote, a fine estate, si è arricchita grazie al bike sharing. L’idea è di dare la possibilità di affittare, con un costo modesto, una delle 70 bici dislocate in sette postazioni urbane. Oltre 40 città italiane utilizzano questa modalità di spostamento con pedaggio, ma i leccesi guardano le bici allineate e preferiscono girare in tondo alla ricerca di parcheggio. Tutta colpa del “partito degli automobilisti”? Che  ci sia bisogno di un’educazione alla mobilità sostenibile è indubbio. Molto poco viene fatto nelle scuole, molto poco viene ancora fatto per  far giungere informazioni nelle case.
Il bando di gara per la costruzione di piste ciclabili prevedeva un impegno di spesa di 836.261,92 euro oltre ad Iva, di cui 812.707,91 per lavori a corpo così distribuiti: 96.659,20 per demolizioni, scavi e fondazioni stradali, 105.402,88 per pavimentazioni stradali, 430.587,28 per opere edili, 61.102,83 per la segnaletica stradale e 119.955,72 per l’illuminazione stradale. Su 58 imprese si aggiudicò la gara la Opus Srl di Lecce offrendo un ribasso del 31,87%. Cinque gli itinerari previsti. Il primo comprende viale Quarta, viale Gallipoli (est), via Bernardini, via Duca degli Abruzzi, viale Otranto, piazza Italia, viale Lo Re, via Marconi, via XXV Luglio, via Marco Aurelio, via Trinchese, via Cavallotti e via Costa. Il secondo comprende via Croce, piazza Partigiani, via Battisti, via Balduini, via del Mare, via Monte San Michele, via Mantovano e via Sauro. Il terzo comprende via Archita da Taranto, via Mincio, piazza Indipendenza, via Po, via Manzoni, via Argento e via Stampacchia. Il quarto comprende piazza Italia, via Don Minzoni, via Miglietta, piazza Bottazzi, via Lazio e via Leuca. Il quinto riguarda il centro storico.
In realtà, questo percorso non è facilmente fruibile. Interessa alcune strade, non tutte le arterie oggetto della gara sono state dotate di pista ciclabile e, dulcis in fundo, le piste si interrompono nel bel mezzo delle zone di maggior traffico. Ha senso una classificazione della mobilità sostenibile che tenga conto solo dei chilometri di pista ciclabile e non abbia parametri di valutazione della sua effettiva possibilità di utilizzo? Oggi per muoversi in città con la bici occorre essere dotati di pazienza e di tanto coraggio. Se un bel mattino decidessimo di lasciare l’auto in garage, abitando in periferia dovremmo in primis percorrere un bel tratto tra le auto, su strade accidentate e a volte prive di marciapiede. Se dopo questo percorso da trincea, finalmente giunti alla sognata pista ciclabile, pensassimo di poterci rilassare, saremmo immediatamente catalogati nella schiera dei sognatori o degli illusi. Se da viale Don Minzoni dovessimo andare nel trafficatissimo viale Torre del Parco, in quest’ultimo tratto non troveremmo pista ciclabile. Uno tra i tanti esempi che potrebbero esser fatti.

 

Maddalena Mongiò