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Glifosato? No, grazie!

Mentre la Commissione Europea prende tempo per decidere se consentire per i prossimi 15 anni l’utilizzo del noto diserbante nei Paesi dell’Unione (l’Italia ha già espresso parere negativo a riguardo), cresce la diffidenza nei riguardi di un prodotto chimico che l’EFSA e l’OMS hanno classificato come “potenzialmente cancerogeno” e che risulta essere il più usato nelle nostre campagne. L’alternativa? Secondo gli agronomi è l’agricoltura biologica 

 

Si scrive “glifosato”, si legge “potenzialmente cancerogeno”. Stiamo parlando dell’erbicida più utilizzato al mondo, noto soprattutto per la versione “Roundup” della Monsanto, utilizzato comunemente da decenni in agricoltura, nel giardinaggio, ma anche per la pulizia delle strade e delle ferrovie. 

In questi giorni la Commissione Europea ha rinviato al 18 maggio prossimo la decisione se prolungare o meno di 15 anni l’autorizzazione all’uso di questo fitofarmaco che la IARC, l’International Agency for Research on Cancer dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha bollato come “elemento potenzialmente cancerogeno”. O per dirla con maggiore precisione, sicuramente cancerogeno sugli animali e potenzialmente anche per gli esseri umani. Una presa di posizione netta che, tuttavia, contrasta con quella dell’EFSA, l’European Food Safety Authority (Autorità europea per la sicurezza del cibo) con sede a Parma, secondo cui il glifosato non ha conseguenze cancerogene sull’uomo. 

Francia, Svezia e Italia, dopo qualche tentennamento e numerose pressioni arrivate da più di trenta associazioni (tra le quali Legambiente, Italia Nostra, WWF), hanno detto “no” a questo provvedimento con il Governo italiano, nello specifico il Ministero dell’Agricoltura e quello della Salute, pronto a presentare un “Piano nazionale glifosato zero” a prescindere dagli esiti del confronto europeo. 

Ovviamente tanti -e forti- sono gli interessi in campo, a partire da quelli di una multinazionale come la Monsanto, leader di settore in tutto il mondo, che pur avendo perso l’esclusività del brevetto sull’uso di questo principio attivo attualmente presente in ben 750 erbicidi differenti, vende il suo prodotto assieme a quelli che sono i cardini del proprio mercato: soia, mais e cotone Roundup Ready, resistenti all’erbicida. Un gene inserito nei cromosomi di queste piante le rende immuni all’azione del diserbante, in modo tale che i terreni possano essere trattati per eliminare le piante infestanti senza danneggiare le colture. Almeno apparentemente, perché questo tipo di trattamento le sue conseguenze nocive le porta con sé, specie dove vi è un abuso nell’utilizzo. E tracce di questo principio attivo potenzialmente dannoso si trovano spesso sui cibi che arrivano sulle nostre tavole. Non solo, il glifosato parrebbe essere alla base dell’insorgere di tumori e linfomi come quello non-Hodgkin, per non parlare di leucemie infantili e malattie degenerative come il morbo di Parkinson. 

 

Birre al gusto di glifosato

 

Sono 14 le marche di birre molto diffuse in Germania sottoposte a un’analisi dell’Istituto per l’Ambiente di Monaco per verificare i livelli del diserbante usato normalmente come pesticida e ritenuto cancerogeno. I risultati, resi noti nel mese di febbraio di quest’anno, parlano chiaro: Beck’s, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, König Pilsener e Jever superano i limiti consentiti per l’acqua potabile (i valori si attestano tra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro mentre è 0,1 microgrammi è il limite consentito dalla legge per l’acqua potabile). 

Per l’Istituto federale per la valutazione del rischio (Bfr) residui di glifosato nella birra sono “dal punto di vista scientifico plausibili”, dal momento che tale composto è autorizzato come diserbante.

Gli esperti, tuttavia, escludono un pericolo reale per un consumatore di tali birre che “dovrebbe bere intorno ai mille litri di birra al giorno per assumere una quantità di glifosato preoccupante per la salute”. Per l’Unione dei birrai tedeschi lo studio non è credibile e assicurano il controllo in autodeterminazione del malto d’orzo che porterebbe con sé il pesticida, mentre l‘Unione dei coltivatori tedeschi ritiene che il pesticida sia contenuto nel malto d’orzo importato poiché in Germania c’è una regolamentazione ferrea per la tutela delle piante e della salute dell’uomo. 

 

Alessio Quarta