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Gasdotto Tap, i giochi (quasi) fatti sulla testa del Salento

Continua la protesta contro il progetto della Trans Adriatice Pipeline il cui approdo è previsto a San Foca. Ma tutto sembra essere già deciso altrove 
 
Sembra una partita a scacchi, lunghissima, estenuante. Da un lato la Russia, dall’altro l’Europa e, in particolare, l’Italia. Le pedine che si muovono sono quelle di interessi enormi. Soldi e gas. Tanto gas. Tutto quello di Shah Deniz, il più grande giacimento scoperto negli ultimi anni, in Azerbaijan. Lo scacchiere, fatto di equilibri geopolitici delicatissimi, poggia, però, per una parte, su un territorio altrettanto fragile, il Salento. Il suo dissenso al progetto del mega gasdotto Tap pare essere, però, un urlo muto. Tutto si sta decidendo altrove, su un livello molto più alto, lontano anni luce da qui. 
La strada per il Trans Adriatice Pipeline, la condotta che per 800 km dovrebbe trasportare l’oro azzurro dal Mar Caspio a San Foca, è tutta in discesa. Le ultime notizie arrivano da Berlino e sono datate 24 maggio. È dalla capitale tedesca che Iain Conn, amministratore delegato e marketing di BP, ha ribadito l’impegno dell’azienda britannica a collaborare con Tap e con i governi dei Paesi di transito, Albania e Grecia, “per ottenere i necessari permessi e le approvazioni per il progetto”. Non si tratta di un dettaglio. Se anche gli inglesi hanno deciso di caldeggiare il gasdotto che passerà per Melendugno, un motivo, più di un motivo, c’è. 
Fino a febbraio, infatti, Tap era in competizione con Itgi Poseidon, la condotta che sarebbe approdata a Otranto e sarebbe stata sviluppata dai francesi della Edison e dai greci della Depa. Un’opzione, quest’ultima, ritenuta dal governo italiano come la più conveniente. Eppure, ha vinto Tap e “trattative in esclusiva sono ora in corso” con il consorzio che gestisce il giacimento del gas azero. A dirlo è stato sempre l’a.d. di Bp, che guarda caso è uno dei soci della joint venture che gestisce Shah Deniz. Detiene un quarto delle quote, quanto la Statoil, altra azienda che a sua volta partecipa proprio in Tap. 
Insomma, la catena è lunga ma gli anelli intrecciano spesso assetti societari identici. Tap è rimasta l’unica alternativa per dare una “via meridionale” al gas del Mar Caspio. Ma, come ha detto qualcuno, per ora ha vinto le semifinali. A giugno, i soci azeri sceglieranno, tra i due progetti in corsa Nabucco West e Seep, quello migliore per la “via settentrionale”, quella, cioè, che passerà per i Paesi dell’Est fino all’Austria. Entro giugno 2013, poi, ci sarà la finale. Spetterà a Shah Deniz decidere di incanalare il suo gas, una volta per tutte, nel corridoio sud o in quello nord. In quest’ultimo caso, però, è bene sottolinearlo, l’Italia rimarrebbe fuori dai giochi. E le conseguenze sarebbero doppie. Da un lato, dovrebbe rinunciare al suo disegno di diventare l’hub d’Europa, il serbatoio del gas da immettere nei mercati europei quando ce n’è bisogno, contrattandone anche il prezzo. Dall’altro lato, sarebbe costretta a continuare a dipendere da Gazprom, partner dei progetti del corridoio nord, il colosso che, da sempre, apre e chiude i rubinetti del gas, a seconda delle crisi invernali russe e dell’impennata del costo degli approvvigionamenti. 
 
Tiziana Colluto