Il sindaco di Lizzanello ci ha raccontato come alcuni dei 30 concittadini che lo hanno attaccato su Facebook gli hanno confessato che avevano condiviso o messo ‘mi piace’ senza nemmeno leggere il post
Un caso emblematico di querela-denucia per diffamazione aggravata relativa ad un post su Facebook arriva proprio dal Comune di Lizzanello, dove il sindaco Fulvio Pedone (peraltro egli stesso avvocato di professione) ha deciso di adire le vie legali verso una trentina di concittadini che avevano commentato con frasi, ritenute diffamatorie, la foto dell’inaugurazione della palestra della scuola media a Merine.
Erano il 28 settembre scorso quando su un profilo del social network ha fatto la sua comparsa un post dai toni decisamente forti, che in pochi istanti è stato condiviso e ha ricevuto diversi mi piace: “Cosa c’è in questo capannone di mer** chiamato palestra? L’ennesimo invito a mangiare sulle nostre spalle: viva Lizzanello e i suoi 40 ladroni!”, questo quanto scritto sotto ad una foto in cui campeggiavano, oltre al primo cittadino con tanto di fascia tricolore, il presidente del consiglio comunale e tre assessori. A questo seguivano altri epiteti a dir poco infelici come “mafiosi”, “ladri” e quant’altro. Motivo per cui il sindaco Pedone non ha esitato a querelare per diffamazione aggravata gli autori dei post e tutti coloro che avevano messo ‘mi piace’.
Sindaco, cosa è successo dopo quella denuncia-querela?
Nell’esposto presentato alla Procura della Repubblica ho raccontato semplicemente quello che è accaduto, facendo i nomi di quanti hanno messo ‘mi piace’. Il mio non è stato un atteggiamento punitivo, ma c’era l’intenzione di accendere un faro su queste problematiche delle diffamazioni su Internet che ormai sono diventate sempre più ingestibili. Ne ho ricevute di critiche in passato, ma non è che faccio sempre querele: nel momento in cui si usano termini diffamatori come ‘mafiosi’ o ‘ladroni’ mentre ho la fascia da sindaco, devo difendere l’istituzione che rappresento.
Nei giorni successivi ha riscontrato qualche cambiamento?
Gran parte delle persone che sono state coinvolte mi hanno chiesto scusa, anche chi ha condiviso il post. La mia idea non è di insistere nella querela laddove c’è una presa di consapevolezza dell’errore, ma di accendere i riflettori su quanto accaduto e fare in modo che questo non diventi un’abitudine. Ho in mente di proporre un convegno su queste tematiche delle diffamazioni a mezzo Facebook che sono ormai diventate di grande attualità, magari coinvolgendo anche queste persone interessate nella querela. Mi sarei aspettato dalla parte politica dell’opposizione non la copertura di queste offese, ma una presa di coscienza, un tentativo di ricucire questo atteggiamento. Tra l’altro un consigliere dell’opposizione ha messo un ‘mi piace’ a quei post, il che mi sembra di cattivissimo gusto.
La decisione di fare una querela-denuncia praticamente è coincisa con un mutamento nei commenti e dei post nei giorni successivi?
Come accennavo prima, ci sono state persone che sono venute personalmente a chiedermi scusa, affermando che avevano messo il ‘mi piace’ senza nemmeno leggere il post e dichiarandosi disponibili a chiedere scuse pubbliche. Mentre dalla parte politica dell’opposizione, specie del gruppo del consigliere coinvolto, hanno aperto fronti di scontro con articoli su giornali e manifesti come se io fossi il pazzo che sta creando il disordine nel paese. Questi non sono comportamenti che fanno bene alla comunità.
Diffamazione a mezzo Internet: ecco cosa prevede la legge
Per chi ancora non lo sapesse scrivere post offensivi sui social network, che sia Facebook, Twitter o Instagram, può determinare una querela per diffamazione ai sensi dell’art. n. 595 del Codice penale, con tanto di pene e sanzioni pecuniarie: “Chi, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”. È quanto ribadito da una recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione, la n. 50 dello scorso 2 gennaio, che ha ritenuto idoneo applicare l’art. n. 595 del Codice penale anche per i reati commessi via social network.
Presupposti per la diffamazione a mezzo Facebook sono: a) la precisa individualità del destinatario delle manifestazioni ingiuriose; b) la comunicazione con più persone alla luce del carattere pubblico dello spazio virtuale e la possibile sua incontrollata diffusione; c) la coscienza e volontà di usare espressioni oggettivamente idonee a recare offesa al decoro, onore e reputazione del soggetto passivo.
Alessio Quarta