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Fu vera gloria?

L’Italia compie 150 anni. Mentre il Paese si accinge a festeggiare l’evento, il dibattito fra “pro” e “contro” il Risorgimento cresce d’intensità. Il motivo? L’ammissione, nei libri di storia, di alcune “pagine nere” scritte dai Piemontesi e la necessità -secondo alcuni- di una rivalutazione dei Borboni e del Regno delle Due Sicilie
 
Centocinquant’anni di Unità d’Italia. Un evento che è doveroso ricordare e commemorare, perché in esso si racchiudono valori e principi, dinanzi ai quali ogni polemica ed ogni rilievo più o meno fondato storicamente deve chinare il capo. Questa ricorrenza, forse più di ogni altra, può però oggi assumere un significato importantissimo per gli italiani. Indro Montanelli diceva che gli italiani non si riconcilieranno con la propria storia fino a quando non la conosceranno e la capiranno. Ed proprio questa l’occasione imperdibile in cui, dopo centocinquant’anni di costruzione di un mito, ormai ridotto ad un rudere dogmatico, gli italiani e soprattutto i meridionali possano riconciliarsi con se stessi, ricomponendo e superando in nome di una memoria condivisa e del più alto sentire ispirato da autentico amor di patria, quelle divisioni che hanno segnato non solo la storia di allora di un intero popolo, quello meridionale, ma che continuano a segnare, oggi, l’Italia del 2011. 
E lo si farà soltanto conoscendo la storia tragica e gloriosa di quegli anni fino in fondo, analizzando i limiti insuperabili di quel processo storico conosciuto come Risorgimento, un fenomeno che ha portato ad un esito certo positivo ed al trionfo di valori fondanti per la nostra identità di nazione, ma si è svolto in maniera tale da non potersi valutare con un giudizio complessivo positivo. A fondare tale giudizio negativo concorrono tre principali questioni individuate dalla moderna storiografia: quella istituzionale, con l’imposizione di un modello istituzionale al futuro Regno d’Italia che non le si confaceva, un modello centralista, statalista, che cozzava con le autonomie locali che si erano sviluppate in Italia sin dai tempi delle Signorie; quella religiosa, con l’esclusione dei cattolici e del papato dai processi di unificazione e di formazione dell’identità nazionale, stando ciò a dimostrare l’esiguità di quella elite intellettuale-politico-affaristica che fu motrice del Risorgimento italiano; infine una questione meridionale, con la conquista di un Regno, quello delle Due Sicilie, che con tutti i suoi limiti poteva vantare dei primati (primo fra tutti quello economico) fra gli stati italiani, che fu dapprima indebolito dall’interno con la sistematica corruzione della sua classe dirigente ed il proliferare di circoli settari, poi destabilizzato con la spedizione garibaldina, ed infine letteralmente aggredito dalle truppe sabaude, che trattarono i territori del sud Italia come terre di conquista.
Solo quando i Meridionali acquisteranno consapevolezza di queste e di tante altre criticità con la serenità ed il buon senso dettati da un giudizio storico finalmente libero dalle strumentalizzazioni politiche del Risorgimento, e dal tempo trascorso, il cui ulteriore protrarsi rischia di sclerotizzare le coscienze, potremo finalmente ritrovare quella vera, profonda Unità attorno alla autentica fierezza di essere italiani. Salentini, Meridionali, Italiani. 
 
 
I protagonisti salentini del Risorgimento

Dalla Società di Storia Patria per la Puglia un ricordo di alcuni dei personaggi più rappresentativi del nostro Risorgimento 
 
“Il Risorgimento è un fatto settentrionale”. A dirlo è la storiografia a riguardo, che ha sempre privilegiato un punto di vista “piemontese”, secondo lo storico Giuseppe Orlando D’Urso, della Società di Storia Patria per la Puglia, associazione che con le sue differenti sezioni si sta impegnando particolarmente nella celebrazione di questo anniversario, per raccontare come anche qui nel Salento abbiamo avuto dei grandi eroi risorgimentali. “All’interno dei festeggiamenti -spiega D’Urso- abbiamo come obiettivo far emergere la partecipazione del Meridione ai moti risorgimentali, un aspetto trascurato dalla storiografia in favore di una scelta ideologica di far emergere invece il ruolo del Piemonte e il Nord. Eppure abbiamo delle figure di grandissimo rilievo anche nel Salento. A partire dal tanto disprezzato Liborio Romano di Patù, emarginato perché il suo profilo fu artatamente tracciato come quello di un trasformista. Dallo studio che ho effettuato sui suoi carteggi, però non era tale, non traeva vantaggio per se stesso, ma era un uomo del governo di Francesco II, che convinse il re a ritirarsi a Gaeta, cercando di evitare la guerra civile e facendo entrare Garibaldi a Napoli. Romano non era un rivoluzionario, ma un liberale, nel suo studio si incontravano i mazziniani e cercò di tenere a bada il popolo facendosi aiutare anche dalla camorra”. 
Tra gli eroi risorgimentali salentini, non vanno dimenticati Giuseppe Libertini, che insieme con Nicola Mignogna portò sul nostro territorio la Giovine Italia e diventò il braccio destro del leader repubblicano. Ma anche Sigismondo Castromediano, il “duca bianco”, che fu anche imprigionato per la sua attività, il magliese Oronzo De Donno, costretto a vagare per le campagne del suo paese prima di esiliare a Corfù, o Epaminonda Valentini di Gallipoli, che sposò la sorella di Antonietta De Pace. “Dobbiamo ricordare la De Pace -continua D’Urso- perché fu una donna davvero coraggiosa, che si giocò la reputazione per l’ideale. Una volta fu scambiata per una prostituta, perché la sorpresero con un messaggio, in cui era scritto: Verrà Peppino con tre capponi. ‘Peppino’ era Mazzini, ma lei disse che si trattava del suo amante. Purtroppo, sappiamo poco o nulla del ruolo delle donne nel Risorgimento, anche se riteniamo fu notevole”. 
Donne e meridionali furono così ignorati dalla storiografia. “Leggiamo delle prigioni di Silvio Pellico -conclude D’Urso- ma non parliamo di quello che fu costretto a vivere Castromediano, i cui diari sono una risorsa inesauribile per comprendere il Risorgimento nel Salento. Dovremmo ricordare anche Giacomo Comi, di Corigliano d’Otranto, che  morì accanto a Daniele Manin durante i moti di Venezia”.