di Stefano Manca
È stato pubblicato il primo rapporto sui fabbisogni occupazionali in Puglia per il periodo 2025-2028. I dati, provenienti da Istat, Unioncamere e Inps, sono interessanti e meritano qualche riflessione. La Puglia ha registrato un aumento dell’occupazione post-Covid, toccando 1milione 300mila occupati a fine 2024. Va dunque tutto bene? Certo che no: il mercato del lavoro pugliese presenta ancora debolezze e criticità rispetto alla media nazionale con tassi di occupazione inferiori, elevato peso di contratti a tempo determinato e part-time involontario e, dulcis in fundo (si fa per dire), un marcato divario di genere a svantaggio delle donne.
Lo hanno ammesso i rappresentanti istituzionali intervenuti qualche settimana fa a Bari: “I numeri ci raccontano un aumento importante dell’occupazione e del Pil regionale. Ora però puntiamo sulle certezze, perché questa crescita si traduca in un’occupazione solida, supportata da una formazione mirata e adeguata e al passo con i tempi”. Ecco, anche nel Salento forse dovremmo cominciare a parlare di “qualità” del lavoro e non solo di “quantità”. Non è sufficiente, e almeno “tra noi” dovremmo dircelo ogni tanto, affermare che “il lavoro esiste”. Affermazione probabilmente vera ma sulla quale bisogna scavare per vedere cosa c’è dietro quei numeri pur puntali e circostanziati. Sono necessari orientamento efficace, interventi mirati e crescita occupazionale inclusiva e qualificata.
Qualche passo in avanti è stato compiuto ma il quadro resta complesso e proprio per questo non servono a nulla soluzioni, o presunte tali, apparentemente semplici come quelle in voga in questo periodo. Formule magiche urlate dai palchi che sanno tanto di populismo.
(pubblicato su Belpaese n.803, ottobre 2025)