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Fiat, anche a Lecce lo spettro di Pomigliano

Dopo l’estromissione della Fiom, i 640 operai dello stabilimento Cnh della zona industriale di Surbo si preparano alla mobilitazione 
 
Legittime e importanti, le ragioni di apprensione dei tanti che oggi si confrontano con il timore dei tagli occupazionali. L’appello contro l’arretramento delle conquiste sindacali e delle prerogative costituzionali nelle fabbriche del Gruppo Fiat arriva ormai con forza agli occhi di chiunque abbia a cuore questa delicata faccenda. 
L’estensione a tutti gli stabilimenti del Gruppo dell’accordo di Pomigliano d’Arco ha sostituito di fatto il Contratto nazionale di lavoro, incidendo su tutti gli aspetti normativi e salariali. La Fiom ha lanciato l’allarme sui diritti messi in pericolo, a partire dalle libertà sindacali, per passare alle discriminazioni nei confronti delle donne e delle mamme in particolare, ma il braccio di ferro tra Fiom e il Lingotto si è concluso con la definitiva estromissione del sindacato Cgil dagli stabilimenti Fiat. La Fiom, decisa a non firmare gli accordi con l’azienda, non ha più voce in capitolo: gli iscritti non ricevono più le trattenute sindacali, non vengono riconosciuti gli Rsu ed è negato il diritto di assemblea tanto che gli esponenti nazionali del sindacato hanno già in corso una vertenza con la Fiat per comportamento anti-sindacale di quest’ultima,  in base a quanto stabilito dall’articolo 28. 
Fatto è che la peggiore come al solito l’hanno avuta i lavoratori. Non sono stati risparmiati purtroppo nemmeno i nostri dipendenti della filiale leccese che, dal 1° gennaio di quest’anno, hanno visto materializzarsi, all’interno del proprio stabilimento, lo spettro di Pomigliano. Gli accordi già vigenti nello stabilimento di Pomigliano sono stati infatti stati ufficialmente estesi a tutte le fabbriche del Gruppo torinese che, con il benestare delle altre sigle sindacali, ha redatto un contratto a misura dei suoi interessi. “Viviamo un momento di discriminazione -ripetono da giorni i lavoratori della Fiat leccese-. Bisogna mobilitarsi, è necessario che il governo rilanci un progetto industriale serio per l’intero Paese. L’organizzazione più rappresentativa della Fiom Cgil è stata esclusa in violazione del diritto minimo dei lavoratori. Ogni lavoratore ha il diritto di scegliere chi deve rappresentarla”. 
Ed è proprio per scongiurare questo pericolo che Fiom è uscita dagli accordi con l’azienda, perché riteneva inaccettabile il taglio delle pause e l’intensificazione dell’attività lavorativa. Tutto questo a fronte di un salario nominale che non aumenta (eccetto straordinari e turni più gravosi) e la riduzione del salario reale, in quanto nulla è previsto sul premio di risultato. Ma gli stabilimenti Fiat non possono diventare le fabbriche della paura. Nessuna azienda del Gruppo torinese deve chiudere in Puglia e nessun posto di lavoro deve andare perso. 
Intanto il sindacato dei metalmeccanici Cgil, estromesso di fatto dagli stabilimenti del gruppo torinese, dopo gli accordi firmati per Pomigliano e Mirafiori con Uilm e Fim Cisl, ha presentato ricorso presso il Giudice del lavoro di 35 tribunali italiani, compresi quelli di Bari, Lecce e Foggia, mentre per il 9 marzo è previsto uno sciopero nazionale. In particolare, da Lecce partiranno due pullman. È il segretario della Fiom Lecce Salvatore Bergamo a spiegare i motivi della manifestazione: “La democrazia deve esistere dentro e fuori dalle fabbriche. Bisogna ridare certezza ai lavoratori. Chiederemo un piano di rilancio industriale del governo”.
 
Alessandra Caiulo