La tragica vicenda della 16enne Noemi Durini di Specchia ha messo in luce la scarsa efficienza di una rete che, grazie anche alla legge regionale n. 29/2014, dovrebbe garantire protezione alle donne vittime di minacce e violenza, anche in considerazione dei segnali d’allarme (denunce da parte della madre di lei, Tso per Lucio Marzo…) ai quali non è stata data la giusta importanza e su cui è in corso un’indagine del Ministero della Giustizia e del Csm
Una violenza barbara, l’ennesima. Ai danni di una donna, questa volta una ragazzina di appena 16 anni, uccisa all’alba di un giorno di settembre. La morte della piccola Noemi Durini di Specchia accende una volta di più il faro su una situazione che sta diventando intollerabile, giorno dopo giorno, violenza dopo violenza.
Le indagini delle Forze dell’ordine, della Magistratura e dei vari organi competenti stabiliranno colpevoli, reati e le rispettive pene. Intanto una delle domande che in questi giorni rimbomba ossessivamente è: la vita di Noemi poteva essere salvata? Si poteva fare qualcosa per evitare un così atroce destino? La madre della ragazzina già tra fine maggio e inizio giugno aveva denunciato, prima ai servizi sociali, poi direttamente ai Carabinieri, le violenze subite dalla figlia ad opera di quel ragazzo che appena qualche mese dopo ne avrebbe confessato l’omicidio. Una prognosi di pochi giorni per schiaffeggiamenti cui non si era dato seguito con alcun provvedimento.
Un vulnus temporale e di azioni concrete su cui il Ministero di Giustizia, guidato da Andrea Orlando, e il Consiglio Superiore della Magistratura vogliono vederci chiaro. Motivo per cui sono state avviate due indagini parallele, in particolar modo legate all’operato della Procura dei Minorenni di Lecce, per stabilire se ci sono stati ritardi o altri tipi di errori nella gestione della denuncia per lesioni personali presentata dalla mamma di Noemi nei confronti del diciassettenne che ha poi ucciso sua figlia.
È successo a Specchia, ma la questione tocca ogni latitudine e longitudine. D’altronde i dati forniti dal Centro Antiviolenza “Renata Fonte” di Lecce parlano chiaro. Nel rapporto relativo al primo semestre del 2017 ben 181 i colloqui telefonici con cui sono state raccolte le denunce, nel rispetto della privacy e della riservatezza, 129 gli accessi al Centro da parte delle donne che hanno subito violenze. A 102 di loro il Centro “Renata Fonte” ha fornito assistenza nell’iter legale, permettendo alle donne di conoscere i loro diritti e garantendo loro l’adeguato sostegno psicologico. A 23 donne è stato offerto sostegno nei percorsi di denuncia e nei procedimenti legali (civile, penale, minorile).
L’80% delle richieste sono riconducibili a manifestazioni violente all’interno della relazione o comunque con soggetti legati alla donna da una relazione affettiva e la gran parte di donne vittime di violenza ha figli, per cui si può ritenere che anch’essi siano esposti alle conseguenze dell’agire violento. Un quadro gravissimo, su cui urge prendere delle contromisure serie e fare veramente prevenzione. Fa, infatti, riflettere che dall’altro lato, quello maschile, non siano attivi presso l’Asl di Lecce i Cam, Centri Ascolto per uomini maltrattanti. Le strutture sono quasi tutte concentrate al Nord, per ora al Sud solo le buone intenzioni.
Fatti e antefatti, superficialità e responsabilità
Si poteva fare qualcosa per salvare la vita di Noemi? Forse sì. Di fatto c’erano dei segnali precisi: la madre della ragazzina aveva presentato formale denuncia ai Carabinieri tra fine maggio e inizio giugno, giustamente spaventata dai lividi che comparivano sul corpo della figlia. Una prognosi di qualche giorno per schiaffeggiamento, poi nulla più. La situazione non è apparsa abbastanza grave, derubricata, ad una delle tante denunce simili che i Carabinieri ricevono ogni giorno.
Nel mese di luglio il Tribunale per i Minorenni di Lecce aveva chiesto una relazione ai servizi sociali relativa a Noemi. E sempre a luglio Lucio Marzo, il 17enne che di lì a qualche mese avrebbe confessato l’omicidio, veniva sottoposto ad uno di tre Tso (Trattamenti Sanitari Obbligatori) per comportamento irascibile e violento. Eppure nessun provvedimento fu preso nemmeno in quel caso. Come non ha mai destato sospetto il fatto che Lucio, minorenne, fosse spesso alla guida di un’auto.
Nuova tappa il 31 di agosto quando il Tribunale dei Minorenni di Lecce dispone l’affidamento di Noemi ai servizi sociali. L’atto, però, arriva tardi, solo il 5 settembre quando di Noemi è stata già denunciata la scomparsa e molto probabilmente quando la ragazzina è stata già assassinata brutalmente. Toccherà ora alle indagini separate del Ministro della Giustizia e del Csm appurare se ci sono state delle responsabilità per negligenza e in che misura.
Ma cosa succede una volta che si presenta denuncia per una violenza? Dal momento della denuncia formale il percorso processuale può richiedere tempi, dalle indagini al dibattimento, che non sono adeguati all’urgenza dell’intervento. Se la vittima che si reca al Pronto Soccorso e riceve una prognosi inferiore a 20 giorni serve la querela di parte, cioè la sua denuncia: ha tempo 3 mesi per rivolgersi alle autorità. Il limite sale a 6 mesi per gli atti persecutori (stalking, messaggi o telefonate continui…) e la violenza sessuale.
In caso di atti persecutori che, anche se non sono gravi, limitano la libertà della vittima, quest’ultima può chiedere al Questore di convocare il persecutore per un provvedimento amministrativo di ammonimento. Spesso non basta a fermare gli aggressori, ma fa sì che i comportamenti persecutori continuati siano perseguibili d’ufficio e non più solo su querela di parte. La legge sul femminicidio prevede poi per il maltrattante il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla vittima, l’obbligo di dimora fino agli arresti domiciliari e alla custodia cautelare in carcere per i fatti più gravi.
Una rete dalle maglie larghe, nonostante la legge regionale n. 29/2014
Nell’omicidio della piccola Noemi qualcosa nella rete istituzionale che doveva proteggerla potrebbe non aver funzionato alla perfezione. Lo stabiliranno le indagini in corso del Ministero e del Consiglio Superiore di Magistratura. Per esempio, ci si può interrogare sul perché un atto pubblico, come il dispositivo del Tribunale dei Minorenni che dispone l’affidamento di Noemi ai servizi sociali, giunga al Comune di competenza dopo ben 5 giorni, un abisso nell’era della telematica.
Si è discusso molto del concetto di rete in questi giorni. Eppure c’è una legge regionale, la n. 29 del 4 luglio 2014, che fissa abbastanza dettagliatamente ruoli, competenze e soprattutto collaborazioni tra i vari operatori del settore (Enti pubblici, Forze dell’ordine, servizi sociali, Centri antiviolenza, case rifugio). Il principio da cui muove quella normativa è chiaro: la violenza contro le donne comprendente “tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, compresa la minaccia di compiere tali atti”. Per consolidare la rete dei servizi territoriali istituisce un tavolo assessorile, che cioè metta in relazione politiche di salute, benessere sociale, pari opportunità con politiche per l’inclusione sociale, il lavoro, l’istruzione, l’immigrazione e politiche abitative. A questo tavolo siedono la consigliera regionale di parità, il responsabile dell’Ufficio garante di genere, il Garante regionale dei diritti del minore, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale.
Ma soprattutto la legge 29/2014 istituisce una task force permanente antiviolenza a cui partecipano rappresentanti dei Centri antiviolenza e delle case rifugio, del sistema giudiziario, penitenziario e delle forze dell’ordine, del sistema degli enti locali, del sistema educativo, dell’istruzione e della ricerca, delle associazioni e degli ordini professionali interessati. A tutto questo si aggiunga il Numero Rosa 1522, a cui si può telefonare per denunciare le violenze subite. Obiettivo: fare prevenzione e monitoraggio. A cui, però, nella situazione emergenziale che ci troviamo a fronteggiare occorre accompagnare seri interventi, concreti che permettano alla donna di sentirsi protetta sin da subito.
Alessio Quarta