È stato presentato al Fondo Verri Babilonia, il nuovo lavoro discografico del gruppo salentino guidato dall’organettista e cantante Claudio Prima
Guardando al Mar Adriatico e alla moltitudine di popoli e culture che vi si specchiano come la stella polare delle sue carte geografiche musicali, Bandadriatica pubblica il quarto album, Babilonia; un lavoro che, come evoca lo stesso titolo, si muove lungo la traiettoria dell’incontro, alla riscoperta di un ancestrale patrimonio comune che avvicina e affratella. Ne parliamo con il “capitano” Claudio Prima.
Con l’album Babilonia vi muovete lungo le rotte di Turchia, Libano e Armenia. Come ci siete arrivati?
Sì, questo quarto lavoro sposta l’asse di ricerca ancora più a Oriente. La Bandadriatica nasce nell’Adriatico e quindi ha ricercato e continua a ricercare sulle musiche tradizionali dei Paesi che si affacciano sul mare, ma questa volta è come se l’Adriatico si fosse allungato, andando a toccare dei lembi più estremi. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare alcuni musicisti che venivano dalla Turchia, dal Libano e con loro abbiamo messo in campo le rispettive musiche tradizionali.
A quale risultato vi ha condotto questa ricerca?
Ci siamo resi conto subito, ma non è stata una sorpresa anzi una conferma, che molte musiche tradizionali hanno delle straordinarie assonanze. Molte delle nostre musiche, infatti, suonano alle orecchie dei musicisti più orientali come familiari, come se fossero una sola musica che si è poi frammentata ed è andata a gemmare nelle varie musiche tradizionali. Bandadriatica non suona musica tradizionale, ma la riscrive, la reinterpreta con una sensibilità moderna, oltre che personale. Siamo come quei viaggiatori che osservano il paesaggio e poi tornano a casa e ne disegnano un quadro totalmente personale. E così abbiamo fatto in questo disco, che inaugura una nuova fase per la band ricca di nuovi suoni.
Quali sono le novità riguardo alla costruzione del sound del disco?
Le sonorità sono cambiate molto rispetto a prima, nel senso che siamo partiti con un sound balcanico, che poi è quello più proprio della prima fase della Bandadriatica, e siamo arrivati a mescolarlo alle sonorità mediorientali; questo mix ha dato risultati sorprendenti perché c’è anche qui un’assonanza molto antica tra gli strumenti e tra le melodie. Come accade nell’incontro tra il saz, strumento a corde di origine turca, il violino suonato con un feeling orientale o gli strumenti a percussione come la darbuka e il rik quando incontrano le nostre sonorità fatte di fiati, organetto e ritmiche moderne. Inoltre per la prima volta abbiamo utilizzato nei testi prevalentemente il dialetto salentino, che ha arricchito la nostra capacità di comunicare perchè è una lingua dotata di una forza ancestrale, semplice e diretta, che permette di valicare i confini geografici e della comunicazione.
Nel disco ci sono tre ospiti. Ci spieghi chi sono?
Sono gli stessi con cui abbiamo realizzato lo scorso dicembre il documentario Floating Art. Si tratta di Rony Barrak, percussionista libanese, Deniz Koseoglu, suonatore di saz e la straordinaria violinista armena Nure Dlovani. Floating Art, ha anticipato Babilonia perché in quell’incontro abbiamo fermato sullo spartito alcune idee, le abbiamo suonate insieme e abbiamo verificato sul campo che i linguaggi corrispondevano, che queste note si potevano realmente abbracciare. E il messaggio che vogliamo lanciare con questo disco è proprio la possibilità di “comunicarsi”, che significa mettersi in comune con l’altro, mettersi in ascolto e dialogare.
In Babilonia, il primo singolo che dà il titolo all’album, parlate della possibilità concreta di trasformare il concetto di diversità culturale. Qual è la vostra chiave di svolta?
È da tanti anni che ci relazioniamo con culture diverse, con gente che ha un background culturale e musicale diverso dal nostro e dopo tanti tentativi abbiamo scoperto alcuni piccoli “trucchi” che permettono di mettersi in contatto in maniera autentica. C’è una sorta di durezza iniziale quando ci si siede con lo strumento in mano per la prima volta insieme, ma poi basta mettersi in un ascolto attento dell’altro per capire qual è la parola giusta da dire, la nota giusta da suonare. Viviamo oggi in una “Babilonia” di suoni, parole, storie, notizie e attraverso le musiche e i testi cerchiamo di dire cosa si può fare per renderla più vivibile e umana: innanzitutto bisogna riappropriarsi del senso delle parole per permettere all’altro di capirci e di essere capito.
Claudia Mangione