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Ausili a perdere

Sedie a rotelle, deambulatori, letti per infermi, materassi da decubito: la Asl li fornisce gratuitamente (dopo un lungo e complesso iter) ma, una volta che il paziente muore, non se li riprende perché possano essere ricondizionati e riutilizzati, e i parenti sono dunque obbligati a tenerseli. Tutto questo perché nella nostra Regione, che spende circa 50 milioni di euro l’anno per l’acquisto di tali dispositivi, tra tanta burocrazia non esiste una normativa ad hoc 

 

A molti di noi, o a nostri parenti o amici, sarà capitato di avere un familiare che soffre o ha sofferto di una patologia invalidante il cui trattamento ha richiesto l’utilizzo, oltre che dei farmaci, anche di strumentazioni sanitarie specifiche che vengono fornite direttamente dalle Asl. In questo caso infatti è il Servizio sanitario nazionale che eroga alle persone disabili (o a quanti ne hanno necessità anche per un periodo limitato) l’assistenza protesica e integrativa, elencando nel c.d. Nomenclatore tariffario, in vigore dal 1999, i dispositivi che possono essere forniti gratuitamente suddividendoli in quattro tipologie: 

1) le protesi: apparecchiature che sostituiscono parte mancanti del corpo;

2) le ortesi: migliorano la funzionalità di una parte del corpo compromessa (ad esempio le scarpe ortopediche)

3) i presìdi: sono oggetti che aiutano a prevenire o curare determinate patologie (ad esempio catetere per l’incontinenza, ausili per assorbimento urina).

4) gli ausili: strumenti che permettono alla persona disabile di compiere un atto che non potrebbe fare in condizioni normali (ad esempio le sedie a rotelle)

Se, come è facilmente ipotizzabile, le prime tre categorie riguardano dispositivi realizzati su misura del singolo paziente e dunque difficilmente cedibili a terzi, diverso è il discorso per gli ausili sanitari che potrebbero essere utilizzati allo stesso modo anche da più persone. Potrebbero, infatti, perché nella realtà -almeno nella realtà della nostra regione- non vi è alcuna normativa che preveda il recupero, la sanificazione, il ricondizionamento e il successivo riutilizzo degli stessi, cosa questa che consentirebbe un grande risparmio per il Servizio sanitario regionale (ricordiamo che la Puglia è la terza regione in Italia per deficit sulla sanità) e la possibilità di accontentare un maggior numero di utenti che ne fanno richiesta. 

Il gioco perverso funziona così: dopo un lungo e snervante iter burocratico il paziente riceve gli ausili necessari (sedie a rotelle, letti per infermi, deambulatori, materassi per il decubito, ma anche traverse e pannoloni). Il paziente purtroppo viene a mancare e a quel punto i familiari contattano la Asl o il medico di base per restituire i dispositivi che non solo a loro no servono più, ma spesso sono in ottime condizioni, e si sentono dire di tenerseli perché non possono essere ritirati (se lo facessero, andrebbero contro legge) in quanto, a differenza di altre regioni come il Veneto o la Lombardia, da noi non esiste una normativa ad hoc. 

A confermare l’inutilità di un modus operandi figlio della burocrazia sono le cifre: 50 milioni di euro l’anno -il dato è puramente indicativo, in assenza di dati ufficiali- è in media la cifra spesa dal nostro Servizio sanitario regionale per gli ausili, tutti dispositivi peraltro non economici (una sedia a rotelle pieghevole costa circa 450 euro, un deambulatore 180 euro, un letto 232 euro, un materasso da decubito 230 euro e un sollevatore oleodinamico 500 euro). Ma alla Regione Puglia questo non sembra interessare quanto la chiusura o il ridimensionamento degli ospedali, il blocco delle assunzioni del personale medico e infermieristico, o il nuovo ticket da 2 euro per le prenotazioni effettuate nelle farmacie.

 

Il muro di gomma della burocrazia 

 

“Poco o nulla è cambiato rispetto alla nostra denuncia di un anno fa”. L’amara ammissione è di Gianfranco Andreano, coordinatore delle reti locali di CittadinanzAttiva e del Tribunale dei Diritti del Malato, che in questa intervista racconta di un muro burocratico quasi impenetrabile per arrivare ad una soluzione concreta ed efficiente per il riutilizzo degli ausili sanitari in Puglia

Dottor Andreano, quando avete cominciato a parlare di ausili sanitari in Puglia e del loro mancato riutilizzo?

Abbiamo cominciato a denunciare questo fenomeno almeno un anno fa. 

Si è mosso qualcosa dopo quegli interventi?

Direi di no. Abbiamo provato a spiegare che il mancato riutilizzo degli ausili sanitari porta ad enormi costi per la collettività. Purtroppo, però, dopo questa denuncia non si è fatto vivo nessuno. In quel periodo poi l’allora direttore sanitario della Asl di Lecce, il professor Guido Scoditti, venne sostituito. Arrivò un nuovo direttore, col quale non si è più affrontato questo problema. 

Significa che c’era un’apertura di Scoditti verso questo tema ma non da parte dei suoi successori? 

Da parte di Scoditti c’era, però attenzione: va sottolineato che anche lui trovava delle enormi difficoltà burocratiche a venirci incontro e a far riutilizzare questi strumenti. Dopodiché non siamo andati in fondo alla questione, perché ci siamo accorti che si trattava (e si tratta) di una faccenda estremamente complicata. E poi, le ripeto, c’è stato il cambio di direttore generale e questo problema non è più stato affrontato. 

Quando avete chiesto alle Asl perché non si riutilizzano gli ausili sanitari, cosa vi hanno risposto?

La prima risposta che ci è stata fornita è che non “riciclano” apparecchiature e supporti medicali per ragioni di sicurezza. Ad onor del vero, bisogna ricordare che alcuni direttori sanitari concedono l’uso di ausili medici già utilizzati. Ma si tratta di scelte individuali e, soprattutto, lo fanno a proprio rischio e pericolo, perché dalla Asl non è affatto previsto il riutilizzo di apparecchiature date in dotazione a pazienti ed ammalati, e che poi per varie ragioni non vengono più utilizzate. Esistono problemi di collaudo e addirittura di coperture assicurative.

Anche di coperture assicurative?

Già, anche l’assicurazione. Le motivazioni principali che ci esposero furono proprio queste. Diciamo che nel complesso si tratta di un fatto, definiamolo così, di “sicurezza burocratica”. I supporti medicali dovevano e devono avere determinate caratteristiche e superare un particolare tipo di collaudo. E siccome è necessaria a volte una ristrutturazione dell’ausilio, molte assicurazioni preferiscono anche non assicurare l’apparecchiatura. 

 

Stefano Manca