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Angeli custodi

Nella città candidata a Capitale Europea della Cultura per il 2019 c’è chi della cultura della solidarietà e della sicurezza ha fatto il proprio credo e la propria missione: sono i City Angels, una ventina di uomini e donne che operano in strada, aiutando e portando conforto a chi è in difficoltà. Belpaese gli ha seguiti in una loro uscita notturna, scoprendo un mondo di “invisibili” a due passi dalla movida 

 

Matilde, Betulla, Bouneka, Drago, Faith, Fulmy, Hope, Luce, Mimosa, Nino, Run, Sherpa, Smiles, Teto, Topitè, Troll, Lupo, Vasco e Danno sono i nickname dei City Angels leccesi, un gruppo molto affiatato di volontari (in prevalenza donne) che hanno scelto di dedicare parte del loro tempo libero ad aiutare chi è meno fortunato di loro. 

Indossano tutti scarpe robuste ma comode, pantaloni neri multitasche, felpa e giubbotto rossi con stampato il marchio bianco dei City Angels e sul capo il loro simbolo più conosciuto, il basco blu con il fregio rosso. Hanno dai 18 ai 43 anni, sono studenti, liberi professionisti, imprenditori, impiegati o in cerca di un’occupazione. Hanno frequentato un corso di tre mesi imparando tecniche di difesa personale e primo soccorso, insieme a tutte le normative che riguardano le attività di volontariato e di pubblica sicurezza. E chi non lo ha ancora fatto lo farà a partire dal prossimo gennaio (adesso presta servizio con lo status di “ausiliario”). 

A guidarli da circa due anni Mario Ferro, alias Fuego, 43 anni, coordinatore della sezione di Lecce, nonché istruttore dei City Angels a livello nazionale. Ed è lui che ci accoglie e ci presenta i suoi ragazzi. “All’inizio, il 5 ottobre 2011, data della fondazione della sezione leccese dei City Angels, ricordo che eravamo in tre -afferma Fuego- ed il coordinatore era don Gianni Mattia, cappellano dell’ospedale Vito Fazzi e fondatore dell’associazione Cuore e mani aperte verso chi soffre, che si occupa di clown terapia e della quale facevo e tuttora faccio parte. Da allora abbiamo acquisito via via nuovi componenti e siamo arrivati così ad oggi ad essere una ventina”. 

La prima cosa che salta agli occhi per chi li conosce solo per sentito dire è la scelta di presentarsi con un nickname anziché con il proprio nome quando si è in servizio come City Angel. “È una tradizione consolidata -sottolinea Fuego-. Quando usciamo in strada e interagiamo con i nostri utenti, che siano senzatetto o semplici cittadini loro ci conoscono con i nostri nickname, che sono anche stampati sui tesserini che portiamo in vista, insieme alla foto, sul nostro giubbotto. Soltanto se dobbiamo interagire con le Forze dell’ordine tiriamo fuori i nostri documenti d’identità (che portiamo sempre appresso) e ci presentiamo con nome e cognome. Ed ognuno è libero di scegliersi il proprio nickname”. 

A questo punto non rimane che chiedergli come lavorano, ma Fuego mi interrompe subito: “Solo operando in strada tu e i lettori potete capire il significato di parole come solidarietà e sicurezza nella realtà urbana”. Accetto volentieri l’invito ad aggregarmi ad una squadra di Angels per un’uscita serale a Lecce, con l’idea che da un punto di vista privilegiato come quello dell’osservatore partecipante (espressione mediata dall’antropologia culturale) si possano raccontare le storie migliori. L’articolo che segue è il racconto di quella serata. E di quello che normalmente questi Angeli fanno in una sera come tante.  

 

Angelo per una notte 

 

L’appuntamento è per le 21 alle Manifatture Knos (per l’esattezza accanto al Cineporto) dove è la sede della sezione leccese dei City Angels, concessa in comodato d’uso gratuito dalla Provincia di Lecce. Appena arrivato mi accoglie Fuego, il quale -come prima cosa- per prima cosa mi chiede di scegliermi un nickname. Scelgo di chiamarmi Ray. Mi vengono presentati gli altri membri della squadra con i quali lavorerò per quella sera, ovvero Drago, Vasco e Mimosa. Fuego, coordinatore nonché caposquadra, mi mostra il materiale che porteremo con noi nel corso dell’uscita: venti porzioni monodose di pasta corta al sugo e relativa borsa termica (rigorosamente rossa) per il trasporto, un thermos con quattro litri di thè caldo, posate in plastica in bustine monouso, tovaglioli e bicchieri in plastica. Intanto si procede alla vestizione: ognuno dei ragazzi indossa felpa, giubbotto e basco d’ordinanza. Per me e per Vasco (ancora non effettivo) l’uniforme consiste in una pettorina rossa con stampato in bianco il marchio dei City Angels e un basco identico agli altri, ma senza fregio. 

L’organizzazione gerarchica degli Angels è finalizzata al lavoro di squadra, e proprio la squadra è l’anima del loro modus operandi in strada. Ciascun gruppo è costituito da cinque elementi: un caposquadra, un vice, due gregari posti dietro il capo e il vice, addetti al trasporto di viveri e bevande, e lo “scudo”, posto dietro i gregari e deve controllare tutto a 360 gradi, portando in spalla uno zaino con il resto del materiale. Tutto questo per garantire la sicurezza degli operatori e degli utenti. 

Dopo aver verificato l’equipaggiamento e l’assetto della squadra, alle 22 si esce. Prima tappa: i portici alle spalle di piazza Mazzini, dove staziona un senzatetto. Appena arrivati a questo groviglio di coperte di lana, Fuego si avvicina e sveglia delicatamente Sergio che si alza e ci saluta. È felice della nostra visita: gli porgiamo una razione di pasta con le posate e un bicchiere di thè. La pasta gli piace, ci chiede anche il bis. Lui ha 64 anni, è salentino e vive in strada da diversi anni. Tutti lo conoscono nella zona: una signora molto distinta con cane al guinzaglio si avvicina a noi e ci offre una banconota da 10 euro per fargli avere un’altra coperta (“Con questo freddo, gli servirà”, ci dice). Ma Fuego ha in serbo una sorpresa per Sergio: un paio di guanti in pelle, alla vista dei quali Sergio non riesce a trattenere le lacrime e abbraccia Fuego. Per lui un paio di guanti o di scarpe, un piatto di pasta o una bevanda calda possono davvero fare la differenza tra la vita e la morte. 

Dopo aver salutato Sergio partiamo alla volta della Stazione ferroviaria di Lecce, nei dintorni della quale stazionano molti senzatetto. Arriviamo alla Stazione e nei portici alle spalle dell’ingresso secondario incontriamo subito una coppia -marito e moglie- di rumeni avvolti dalle coperte. Loro accettano di buon grado la pasta al sugo e il thè, insieme a qualche parola di conforto. Hanno anche voglia di parlare e raccontano di altri loro colleghi partiti o spostatisi in altre zone. Poco più avanti ce ne sono altri quattro, due uomini e una coppia (sempre marito e moglie). Questi ultimi sono dentro ad una tenda da campeggio a due posti (!) e vederli in quelle condizioni rende difficile trattenere l’emozione. Uno degli uomini ci fa capire che non vuole essere disturbato, mentre gli altri gradiscono molto la pasta e il thè. 

Ci spostiamo e ci incamminiamo seguendo i binari in direzione sud. Fuego mi spiega che da quando la Stazione stessa chiude di notte, i senzatetto ad una certa ora vengono allontanati dagli agenti di Polizia Ferroviaria; per questo cercano posti più tranquilli nelle vicinanze. Ne incontriamo altri tre, tra cui un anziano, e vengono tutti rifocillati. Più avanti, nel parcheggio alle spalle della Piscina coperta, vediamo una macchina arrugginita, con dei teli plastica al posto dei vetri. Lì dentro normalmente dorme qualcuno, ma non quella sera. 

Da lì ripartiamo in direzione via Bortone e via Rudiae, dopo il sottopassaggio. Questa volta i nostri utenti sono delle prostitute africane: sono circa una decina, tutte giovanissime e tutte molto affamate e infreddolite. Per loro, oltre alla pasta e al thè, anche tranci di pizze donate da una pizzeria il cui titolare è un amico dei City Angels. Felicissime per i “doni” ricevuti ci ringraziano. 

Risaliamo in macchina e, dopo qualche giro di perlustrazione per verificare altri luoghi dove potrebbero esserci altri soggetti in difficoltà, si decide di rientrare alle base. È mezzanotte passata ed è il momento del briefing, nel quale ciascun membro della squadra può commentare quanto avvenuto nel corso dell’uscita. Fortunatamente, tutto è filato liscio e il tempo senza pioggia ha facilitato il lavoro. Ma non sempre è così. 

 

Andrea Colella