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Alla Fondazione Capece in mostra “Pianeta acqua” di Max Sauvage

Fino al 3 luglio sarà possibile ammirare il nuovo ciclo pittorico che l’artista salentino ha dedicato all’elemento primario 

 

In questo nuovo ciclo pittorico Max Sauvage “dimentica” la sua forte connotazione di pittore del surrealismo internazionale e si ripensa artista di vecchio mestiere e di bottega, che guarda al figurativo, ed alle figurazioni. Una scelta, la sua, per certi aspetti, artisticamente estrema, e tale proprio perché riparte dai fondamentali pittorici e del pensiero per rimescolarli come colori su una tavolozza e renderli opera d’arte su tela e iniziazione e ritorno di se stesso al principio primo del mondo tanto caro alla scuola di Mileto, all’elemento “di cui tutte le cose hanno l’essere, da cui derivano e in cui si risolvono”: l’acqua. 

Sauvage trova cosiÌ€ forma e sostanza rinnovate d’arte attingendo alle ancestrali sorgenti della vita facendo sgorgare acqua dalle sue tele fino a riempire lo spazio del rappresentato, muovendo in essa corpi vivi e coscienze, e carri e cavalli e cavalieri allorquando MoseÌ€ richiuse le acque del Mar Rosso, e specie animali e banchi corallini ed alghe e quant’altro presente nell’ecosistema marino quando le trivelle di incerto progresso hanno “girato” (e tuttora girano) alla ricerca di nera energia. 

Anche, si muovono in quella stessa acqua e sulle tele del maestro, i corpi gonfi e deformi ed in via di decomposizione delle vittime incolpevoli delle lunghe e disperate traversate su barconi e barche di rimedio e di fortuna; corpi dissacrati, abbandonati alle correnti e divenuti -nei dipinti di denuncia sociale e di impegno civile di Sauvage- chiazze di nero e rosso affioranti da un blu mare che solo il Mare Nostrum può mostrare di sé. 

Ma l’acqua ha anche una sua sacralità, una sua intrinseca e creduta capacitaÌ€ di rinnovare la vita, tanto che quei corpi straziati dall’uomo e dalla sua avidità, quasi avvolti dall’energia dell’universo di un ritrovato Cocoon, si ricompongono creativamente nelle tele dell’artista e riemergono a nuova vita dal profondo della perduta esistenza. E diventano corpi di nuotatori e bagnanti: attestato dinanzi agli altri che l’acqua (“elemento, principio delle cose, siffatta sostanza si conserva sempre” secondo Talete) eÌ€ comunque dispensatrice di vita, fonte primigenia vitalistica e riparatrice di corpi finora fisicamente “rotti” e figurativamente negati (sfigurati!). Corpi che, nel riaffioramento dall’acqua e nel disegno che di loro fa Sauvage, ripartono dalle proporzioni e dall’impianto proprio della classicità, cosiÌ€ come le sembianze di bellezza di Venere pure diventano metro di misura e di classicità con il loro dolce riaffiorare dalle acque dell’Egeo. 

Ed anche l’ultimo uomo di Sauvage, quello che oggi mostra al pubblico nella sua personale alla Galleria Capece, rinasce nelle forme del corpo proprio dalla riemersione da quelle stesse acque, quelle del Grande Mediterraneo, che hanno visto Venere assumere il corpo e le vesti della classicità. E cosiÌ€ l’individuo di sempre di Sauvage, quello con la testa di tigre, di giraffa e di zebra, attraverso il rito di passaggio nelle acque diviene immedesimazione di uomo e corpo d’uomo, e niente e nessuno gli restituirà la sua fiera animalità. A nulla varrà la riemersione da quella stessa acqua: quell’uomo avrà ormai quella testa, e solo quella testa, attaccata al collo, cosiÌ€ almeno fino ad un nuovo 1789. Tramonta allora lo zoomorfismo, ed anche l’irrazionalità delle forme zoomorfe, a cui tanto ci ha abituati il maestro? Certamente no. A differenza dei falsi Modigliani gettati nell’Arno da un gruppo di giovani burloni, le teste zoomorfe di Sauvage “finite” nell’acqua, rimarranno forme infinite dell’Arte, per un gioco, questa volta, dell’Artista. È una sua promessa.