Le scoperte di un gruppo di ricercatori internazionali potrebbero retrodatare la nascita dell’uomo moderno. E il territorio neretino si conferma “culla” della civiltà
E se l’uomo moderno fosse nato proprio nel Salento, qualche millennio fa? Ciò che fino a ieri poteva sembrare un’ipotesi suggestiva, magari buona per un romanzo, potrebbe trasformarsi in realtà. Recenti studi infatti, se confermati, avrebbero dell’incredibile: due denti ritrovati diversi anni fa nella Grotta del Cavallo, a Porto Selvaggio, non apparterrebbero all’Uomo di Neanderthal, come inizialmente si riteneva, ma all’Homo sapiens sapiens. Questo porterebbe a retrodatare a 44mila anni fa la nascita dei primi uomini moderni. Significa cioè che l’Uomo di Neanderthal e l’Homo sapiens sapiens avrebbero addirittura convissuto per diverso tempo, fino all’estinzione del primo, probabilmente per via delle “spietate” leggi evoluzionistiche.
Nel frattempo i risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista scientifica “Nature”. Nel gruppo internazionale che ha effettuato le ricerche figura l’italiano Stefano Benazzi, giovane docente dell’Università di Vienna. A proposito delle moderne tecniche utilizzate per analizzare i ritrovamenti di Porto Selvaggio, Benazzi ha dichiarato: “Numerose istituzioni europee hanno messo a nostra disposizione i fossili umani. La rivalutazione dei denti rinvenuti nella Grotta del Cavallo è stata possibile grazie all’uso di tecniche innovative sviluppate nel corso dell’ultimo decennio che fanno capo alla branca dell’Antropologia chiamata Virtual Anthropology”.
Ma quando sono cominciate in realtà le ricerche a Porto Selvaggio di cui parla il professor Benazzi? Siamo nel 1961, quando sono arrivati nel Salento i professori Arturo Palma di Cesnola ed Edoardo Borzatti Von Lowenstern, rispettivamente delle Università di Siena e Firenze. L’obiettivo è quello di coordinare una ricerca per conto dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria. La campagna di scavi da loro condotta ha portato al ritrovamento di tre denti decidui da latte. La scoperta avviene nella Grotta del Cavallo, autentico scrigno preistorico di Porto Selvaggio. Un monumento naturalistico di 8 metri di spessore di sedimenti che racconta 120mila anni di storia, già “sede” di altri ritrovamenti in passato: resti di animali, incisioni, pietre lavorate.
L’ipotesi più accreditata, inizialmente, è che si tratti di resti appartenenti alla cultura “uluzziana” neandertaliana. Tra l’altro il termine “uluzziano”, coniato dal professor Palma di Cesnola, lo si deve proprio alla Baia di Uluzzo, sito di straordinaria importanza archeologica non lontano dalla Grotta del Cavallo e fonte inesauribile di “sorprese” per gli studiosi che arrivano a Porto Selvaggio. Non è un mistero, infatti, che anche lì vi siano stati insediamenti di tipo neandertaliano.
La Grotta del Cavallo è soltanto uno degli insediamenti preistorici della zona: la costa neretina ne conta ben 17, ponendosi sotto l’attenzione costante dei ricercatori di tutta Europa. La storia dell’umanità, se adesso queste conclusioni venissero confermate dalla comunità scientifica mondiale, verrebbe così riscritta. Nel farlo, l’uomo dovrà necessariamente passare da Porto Selvaggio. Oggi come ieri.
Vittorio Marras: “Tutto cominciò nel 1961”
Ad affiancare i docenti Arturo Palma di Cesnola ed Edoardo Borzatti von Lowenstern nelle ricerche nella Grotta del Cavallo, cominciate nel 1961, c’era anche Vittorio Marras, che qualche anno dopo sarebbe diventato il Presidente del Gruppo Speleologico Neretino. Il sodalizio da lui presieduto nasce infatti nel 1972 proprio sotto lo stimolo ricevuto dalle ricerche condotte a Porto Selvaggio dalle Università di Siena e Firenze. “All’epoca eravamo dei ragazzini. I docenti venivano a scavare e noi andavamo lì a curiosare”.
Quegli scavi, anche se solo oggi sono tornati prepotentemente alla ribalta, Marras non li ha dimenticati. “Quando chiedevo agli archeologi dell’Università di Siena -ricorda- che fine avessero fatto i denti ritrovati mi veniva risposto che si erano perse le tracce. Eccoli invece riapparire oggi”. Ora che la comunità scientifica è in fermento ed una parte di essa attribuisce quei denti ad un uomo anatomicamente più moderno dell’Uomo di Neanderthal, è inevitabile lanciare uno sguardo verso il futuro. “Le campagne di scavo dell’Università di Siena -prosegue Marras- hanno proiettato i 17 insediamenti neretini in un contesto europeo ma ora la portata di questa scoperta è tutta da valutare a livello mondiale”.
Intanto le ricerche fin qui condotte hanno fatto sì che venissero analizzati vari caratteri della struttura interna ed esterna dei denti, in particolare lo spessore dello smalto e il contorno generale delle corone dentarie. Marras, proprio a proposito degli studi effettuati sui ritrovamenti, ricorda anche una sorta di “profezia” legata a quei lontani giorni. “Ricordo che in quelle ricerche, anche se sul momento quei denti vennero classificati come riconducibili alla specie neandertalis, i docenti ammonivano gli allievi che con troppo rapide intuizioni provavano a dare a quei ritrovamenti una collocazione temporale. L’invito ai giovani ricercatori era quello di non trarre conclusioni azzardate e di affidarsi alla tecnologia”. In effetti, i professori avevano visto giusto.
Stefano Manca