Nell’occhio del ciclone questa volta i disagi derivanti dagli autobus dell’azienda ora di proprietà di Ferrovie dello Stato. E su 110 mezzi a disposizione, in Salento ne circolano solo 77
È di questi giorni la notizia di proteste -le ennesime- contro le Ferrovie del Sud-Est ed in particolare gli autobus. Le proteste sono partite dagli studenti ed hanno coinvolto i sindaci di molti Comuni della provincia di Lecce. La situazione è grave, anzi peggio, e la rabbia lo è ancora di più perché, a sentire le dichiarazioni dei politici, il recentissimo passaggio di queste ferrovie (ed autobus) alle Ferrovie dello Stato avrebbe dovuto risolvere -o almeno cominciare a farlo- i problemi. Ed invece niente, solo parole e sogni. Ciò che è cambiato è solo il destinatario delle invettive, prima era la Regione Puglia, adesso è Ferrovie dello Stato.
Il tutto ha il sapore della beffa tanto più se si considera che dei 110 mezzi a disposizione, solo 77 sembra possano effettivamente circolare. Se ci fermassimo qui finiremmo con il fare il gioco solito che è quello di ricalcare a parole giornalistiche un disservizio che ha perso da tempo il carattere dell’eccezionalità per trasformarsi in una triste quotidianità. Più che fare quindi un passo indietro, conviene osservare tutta questa vicenda facendo un passo di lato.
Il tragitto seguito dalle Ferrovie del Sud Est nella provincia di Lecce è quello di un anello chiuso che tocca soltanto alcuni e pochissimi dei centri abitati di quel territorio (composto da circa 99 Comuni). È proprio questa non coincidenza fra reale bacino d’utenza e stazioni ferroviarie ad essere la causa di un malessere diffuso incentivato inoltre dalla sempre maggiore utilizzazione delle ferrovie da parte dei cittadini. Si consideri infatti che solo fino a qualche anno fa l’ultimo treno (quello delle 21.04) in partenza da Lecce per Gallipoli/Maglie contava pochissimi viaggiatori; oggi invece è stato possibile rilevare direttamente un numero di utenti pari a quello che si ha durante il giorno.
Al di là della pessima gestione di questi ultimi anni (così come dimostrato dai recenti fatti di cronaca giudiziaria) il trasporto locale ha di fatto patito una sorta di ambivalenza o meglio incertezza di origine politica che possiamo riassumere in questo modo: ferro sì o no? A seconda del colore politico delle Giunte regionali che si sono succedute in questi ultimi decenni si è favorito ora il trasporto su gomma ora quello su rotaie distribuendo le scarse risorse a disposizione in modo sempre insufficiente a risolvere il problema perché erano da accontentare tutti. Questo ha finito con il generare inefficienza, sprechi, anche corse doppie.
La soluzione potrebbe invece scaturire dall’accettare l’attuale anello ferroviario come spina dorsale del sistema trasporto verso il quale far convergere un sistema di autobus (possibilmente elettrici) che colleghino i singoli centri lontani dalle stazioni a quest’ultime. Brevi tratti, mezzi di piccole dimensioni e corse naturalmente più frequenti.
Scarsa pulizia e manutenzione, ritardi e percorsi accidentati: le criticità dei trasporti su gomma
Se dovessimo focalizzare l’attenzione sulla vera natura del disservizio del trasporto locale varrebbe, procedendo dai fatti, concentrarsi su pochi termini: scarsa pulizia dei mezzi, manutenzione quasi nulla, ritardi dovuti alle lunghe percorrenze e soprattutto le dimensioni degli autobus. Quest’ultimo è forse il difetto più pregnante e, paradossalmente, anche il più “divertente”. Gli autobus infatti sono obbligati a muoversi anche dentro i centri urbani che, per loro stessa natura, sono inadeguati a consentire il passaggio di quei mezzi di trasporto. Molto spesso -e raccontiamo fatti realmente accaduti- le corse sono rallentate perché un’auto è stata parcheggiata e neanche in doppia fila. In questi casi, ai confini della realtà, è capitato di vedere autisti scendere dagli autobus e chiedere l’aiuto di qualcuno per cercare di far passare i mezzi con manovre ardite e pazienti.
Provate a moltiplicare questa situazione per ogni piccolo paese del Salento e comincerete a comprendere il perché dei ritardi su scala maggiore. E tralasciamo i casi in cui gli autisti sono costretti a chiedere informazioni ai passanti per sapere dove sia la stazione ferroviaria ovvero la “loro” fermata. Verrebbe da dire che rimaniamo in attesa del doppio binario nell’anello (almeno in alcuni tratti, i più frequentati) ma almeno, fino ad allora, sarebbe auspicabile avere un poco di buon senso da parte degli amministratori? Anche perché il buon senso è gratis e a disposizione di tutti. Almeno così si spera.
Fabio Antonio Grasso