Lei è Giuseppina Marazia, 57enne leccese affetta da Sensibilità Chimica Multipla (Mcs), una malattia rara e invalidante non riconosciuta dalla Regione Puglia, cosa questa che le impedisce di ricevere l’assistenza di cui ha bisogno. Martedì scorso ha protestato pacificamente di fronte al Tribunale di Lecce per ricordare che, senza lavoro e con una pensione di invalidità di soli 290 euro al mese, non ce la fa più a tirare avanti e rischia di finire a vivere in una macchina
Immaginate di vivere una vita nel corso della quale dovete stare costantemente attenti a tutto quello che toccate, odorate, mangiate o utilizzate per la cura del corpo, perché tutto ciò che per gli altri risulta innocuo a voi potrebbe causare uno shock anafilattico. Immaginate di poter vivere bene solo in ambienti idoneamente attrezzati per un costante ricambio dell’aria, altrimenti vi sentite soffocare, e che le azioni quotidiane più semplici diventino ostacoli insormontabili. E, dulcis in fundo, immaginate anche che da parte delle istituzioni il vostro stato di salute non venga riconosciuto come “malattia rara gravemente invalidante” e che quindi non vi venga fornita l’assistenza necessaria per, quanto meno, convivere con questo disturbo.
Be’, se riuscite a immaginare questo potete provare a immaginare la vita che può vivere Giuseppina Marazia, 57enne leccese affetta da Sensibilità Chimica Multipla (Mcs) che da cinque anni combatte non solo contro un male oscuro e crudele ma anche contro un sistema che, paradossalmente, non la aiuta, aggiungendo la beffa al danno. Separata con tre figli, Giuseppina è una donna forte che ha sempre lavorato ma da quando è iniziata a comparire la malattia (che lei sostiene sia stata causata da un medicinale somministrato in una struttura pubblica del Salento) ha visto via via la sua vita stravolta: ha dovuto abbandonare il lavoro, modificare radicalmente le sue abitudini di vita e, soprattutto, vendere le sue proprietà per sottoporsi a esami clinici e cure costose che il Servizio Sanitario Regionale non rimborsa. Senza contare la necessità di nutrirsi usando esclusivamente farina o pasta di kamut, utilizzando ad esempio pochi prodotti per l’igiene personale o della casa, realizzati da aziende di nicchia e commercializzate con prezzi elevati.
Il nodo della questione è proprio questo: in assenza di una legislazione nazionale univoca il riconoscimento della Mcs come malattia rara e invalidante è demandato alle regioni e la Puglia, a differenza di altre, non la identifica come tale, impedendo in questo modo a Giuseppina e ad altri pazienti come lei l’accesso all’assistenza che merita. Tutto questo ha indotto la stessa Giuseppina ad avviare un’azione giudiziaria nei confronti dello Stato per un risarcimento danni di 1 milione di euro: la motivazione di questa sua richiesta, a detta dell’avvocato che sta seguendo il suo caso, risiede nella stessa Costituzione italiana che riconosce ad ogni cittadino la possibilità di ricevere un aiuto dalla Stato nel momento in cui non è in grado di produrre reddito a causa di problemi di salute.
Intanto, in attesa dei tempi della giustizia, Giuseppina è allo stremo: la sua unica fonte di reddito è una pensione di invalidità di 290 euro, assolutamente insufficienti a coprire le sue necessità. Già lo scorso anno si è resa protagonista di uno sciopero della fame di fronte a Palazzo dei Celestini e martedì scorso è tornata a protestare pacificamente di fronte al Tribunale di Lecce in viale De Pietro, nella speranza che lo Stato, stavolta, si dimostri meno insensibile.
“Si dice che chi non combatte ha già perso. Io combatto perché non mi è rimasto altro”
Seppur scoraggiata e sfiduciata, continua a lottare perché non le resta altro da fare. Giuseppina Marazia chiede giustizia da tre anni, affinché la Regione Puglia e lo Stato riconoscano la malattia da cui è affetta, la Sensibilità Chimica Multipla. Ammalatasi nel 2010, Giuseppina ha dovuto rinunciare alla sua vita e alle sue proprietà per potersi curare, ma ora è arrivata allo stremo. La piccola pensione di invalidità non è assolutamente sufficiente, né tanto meno dignitosa. Col cuore in mano, ci ha raccontato la sua storia, tra il silenzio delle istituzioni e i paradossi della Legge italiana.
Giuseppina, come ha affrontato fin dal principio la sua malattia?
Da cinque anni a questa parte sono stata costretta a lasciare il lavoro per non compromettere la mia salute e rivolgermi a numerosi medici e specialisti. In questa situazione, sia per pagarmi le cure, che per riuscire a sopravvivere garantendomi i beni di prima necessità, ho dovuto dare fondo a tutte le mie risorse economiche e vendere le mie proprietà.
Cosa è riuscita ad ottenere finora?
Mi è stata riconosciuta l’invalidità del 100%, ma lo Stato mi eroga solo una pensione di circa 290 euro, che chiaramente non mi basta nemmeno per mangiare, dal momento che per alimentarmi posso mangiare quasi esclusivamente pasta di kamut. Soprattutto, però, ho solo registrato la totale assenza delle istituzioni, che finora si sono solo limitate a farmi promesse senza alcun seguito.
A chi ha chiesto aiuto?
Mi sono rivolta al sindaco e al vicesindaco di Lecce, i quali a loro volta si sono interfacciati con la Regione Puglia secondo la quale, però, casi come il mio sono di competenza del Comune. A Lecce dicono invece di non avere soldi, con un conseguente scarica barile che non serve a nulla. Anche l’assessore regionale Elena Gentile dichiarò sui giornali di volermi aiutare, ma non l’ho mai sentita. Un mio appello ha avuto la risposta della Segreteria del Presidente della Repubblica (all’epoca Giorgio Napolitano), ma anche in questo caso si è trattato di una promessa senza seguito. L’on. Salvatore Capone ha presentato un’interrogazione parlamentare, ma la risposta ricevuta ha confermato come le istituzioni si palleggino le competenze.
La Legge non può venirle incontro?
Purtroppo, è proprio questo il problema. Lo Stato italiano stabilisce che il riconoscimento della malattia è a discrezione regionale, e la Regione Puglia non riconosce la Mcs. È una situazione assurda, se si considera che altre regioni italiane, come il Lazio e la Basilicata, hanno riconosciuto questa malattia. Per la Regione Puglia i miei non sono sintomi oggettivi, considerandomi un paziente psichico, nonostante certificazioni e documentazioni ufficiali dimostrino la mia malattia. Mi trovo così in un paradosso per cui nel Lazio o in Basilicata sono considerata ammalata, ma in Puglia no, come se le persone affette da Mcs siano diverse da regione a regione. Non solo: l’Mcs è riconosciuta e curata anche in Inghilterra, Svezia, Danimarca, Germania e anche negli Stati Uniti. L’Italia è indietro sotto questo punto di vista. Non può nemmeno essere considerata una malattia rara, perché la percentuale degli ammalati Mcs supera quella prevista.
Hai mai pensato di trasferirsi all’estero e farsi curare lì?
È una ipotesi lontana da me, sia perché non posso permettermi di sostenere queste spese, sia perché rappresenterebbe una mia sconfitta personale, oltre che un dolore per abbandonare la mia terra, i miei figli, la mia vita. Io invece sto lottando per vedermi riconosciuti i diritti sanciti dalla Costituzione italiana, i diritti al lavoro, alla salute, alla dignità. Lo scorso novembre inscenai lo sciopero della fame, ma il Capo di Gabinetto mi ordinò di smettere, anche perché si sarebbe rivelato dannoso per la mia salute; io ho obbedito agli ordini di un organo dello Stato, ma adesso non sono più disposta a farmi prendere in giro.
Dalla sua testimonianza si evince come la politica non abbia mai ascoltato i suoi appelli. C’è invece qualcuno che vorrebbe ringraziare?
Il gruppo Mcs Puglia sta facendo un lavoro straordinario per cercare di portare la Regione a riconoscere la malattia o quanto meno di creare le condizioni affinché noi pazienti possiamo curarci. Vorrei ringraziare anche il proprietario dell’appartamento che ora occupo: ho ricevuto l’avviso di sfratto, ma la bontà di questa persona mi permette di vivere ancora in queste quattro mura, altrimenti mi toccherebbe dormire in macchina. Non è però giusto che non riceva i soldi dell’affitto perché è un suo diritto.
Lei si è anche iscritta corso di laurea in Beni culturali dell’Università del Salento. Perché questa scelta?
Quando ero ricoverata a Roma mi sono ripromessa che, se fossi uscita dall’ospedale con le mie gambe, avrei ottenuto quella laurea che non ho mai conseguito in gioventù. Una persona a me molto cara ha pagato l’iscrizione e da allora ogni anno ricevo una borsa di studio. Voglio elogiare l’Università del Salento perché qui ho trovato solidarietà, disponibilità e apertura mentale, elementi che non ho trovato da nessun altra parte: i miei compagni di corso mi forniscono dispense, slide e lezioni registrate, mentre i docenti sono attenti a usare profumi e se necessario mi consentono di sostenere gli esami all’aria aperta. Ho voluto iscrivermi anche per reagire a tutto questo, dire a me stessa che sono ancora qui e posso dare ancora tanto.
Come sta vivendo adesso?
Ho imparato a individuare tutto ciò che mi può far star male e rispetto a cinque anni fa sto molto meglio, ma non posso più lavorare, coltivare i miei hobby come la lettura e il cinema. In alcune regioni i malati di Mcs riescono a mantenere il loro posto di lavoro, organizzandosi in maniera idonea. Seguo una determinata alimentazione e uso prodotti privi di sostanza chimiche per me nocive, che consiglio a tutti di utilizzare perché il rischio di ammalarsi, non solo di Mcs, lo corrono tutti. Anche se sfiduciata e senza più il sorriso, continuerò a combattere perché non mi è rimasto altro. Il mio motto è “chi combatte rischia di perdere, ma chi non combatte ha già perso”, una frase che mi rispecchia in pieno.
Alessandro Chizzini