L’allarme del procuratore distrettuale antimafia Cataldo Motta nella sua relazione annuale non lascia adito a dubbi: la “Quarta Mafia” continua ad esercitare la sua pressione sul nostro territorio, cercando però nel contempo il consenso della gente. E Alfredo Mantovano aggiunge: “La nuova Sacra Corona Unita è meno efferata e più interessata a fare business”
Arriva la nuova Scu. La Sacra Corona Unita non è morta, non è stata decapitata ma rischia di rinascere e di trovare vigore proprio nelle nuova generazioni cresciute all’ombra e nel mito dei vecchi capoclan. A lanciare il preoccupato allarme, il procuratore della direzione distrettuale antimafia Cataldo Motta nella consueta relazione annuale sull’amministrazione della giustizia. “Si tratta di una sorta di preoccupante passaggio del testimone alla nuova generazione -ha scritto il procuratore Motta- che molto spesso trova l’appoggio di familiari, usciti di prigione, anche attraverso la liberazione anticipata. Una situazione che non autorizza alcun ottimismo sul possibile ridimensionamento ed indebolimento dell’associazione mafiosa, nonostante il lavoro costante delle forze dell’ordine. La criminalità organizzata, pur continuando ad avere il punto di forza nella sua capacità intimidatoria, ha compreso l’importanza del consenso ottenuto manifestando disponibilità nei confronti della gente ad ascoltarne e soddisfarne bisogni ed esigenze”.
Per questo accanto ai cosiddetti reati economici, all’usura e all’estorsione, restano le attività criminali tradizionali come il traffico di sostanze stupefacenti, soprattutto con l’Albania. La nuova frontiera è però quella del favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e del traffico di esseri umani. La Sacra Corona Unita quindi sta perseguendo il modello Mafia e Camorra, puntando ad ottenere “un ruolo determinante nel regolare i rapporti nella società civile in una prospettiva della definitiva sostituzione agli organi istituzionali dello Stato”.
Esemplare è quanto accade sempre più spesso al momento delle scarcerazioni: le manifestazioni di solidarietà ai detenuti sono celebrate con l’esplosione di fuochi d’artificio. Come nel caso di Andrea Leo, esponente di rilievo di un gruppo mafioso (clan Vernel) che opera nella zona di Vernole e delle aree di Calimera e Melendugno, accolto appena liberato proprio con i fuochi pirotecnici. Non solo: a riprova della tesi di Motta, nei giorni scorsi alcune scritte ingiuriose sono state rinvenute proprio a Vernole, in via Tripoli. Un episodio gravissimo certo, ma anche un sintomo inquietante.
L’Eccellenza della mafia pugliese
Le infiltrazioni mafiose nel calcio non sono solo ipotesi. La denuncia del procuratore antimafia Cataldo Motta è circostanziata: sono almeno sette le società del campionato di Eccellenza pugliese che risultano direttamente controllate dalla criminalità organizzata attraverso i diversi ruoli di amministratore, socio o addirittura direttore sportivo. “Le infiltrazioni nelle società calcistiche si fanno sempre più preoccupanti -ha spiegato il procuratore- e per questo Figc e Prefettura di Lecce hanno studiato un protocollo cui aderire, per ora su base volontaria, che prevede la presentazione della certificazione antimafia per chi lavora nei club calcistici. Speriamo che l’iniziativa presto si trasformi in una legge, visto che la malavita ha ‘puntato’ il calcio per un paio di motivi: è un formidabile strumento di riciclaggio del denaro sporco e consente di compiere azioni di marketing e di ricerca del consenso presso l’ampio popolo dei tifosi. Un doppio beneficio, su cui occorre intervenire al più presto”.