Continua il racconto dell’epopea del condottiero re dell’Epiro in Terra d’Otranto, dove conseguì importanti vittorie contro l’esercito romano
Il contributo dei Messapi al trasbordo dell’esercito di Pirro, avvenuto, non senza difficoltà, nel marzo del 280 a.C., fu decisivo, dal momento che la dodecapoli salentina aprì al despota epirota i suoi porti ed accolse le truppe fornendo vettovagliamento. Inoltre i Messapi, assieme alle superstiti città peucete, fornirono un esercito di 27.500 fanti e 3.250 cavalieri, che si aggiunsero all’imponente esercito Pirrico che contò in tutto, alla fine della guerra, quasi 133mila fanti, 17 mila cavalieri e 50 elefanti da guerra.
Il proconsole romano, il patrizio Lucio Emilio Barbula, si mosse contro il Salento con due legioni, per punire gli infidi messapi, e nel luglio pose a ferro e fuoco le città salentine, sconfiggendo le poche truppe rimaste a presidio (il grosso delle truppe era con Pirro), ma tuttavia non riuscendo a conquistare la terra d’Otranto, attracco dei vettovagliamenti epiroti, fallendo così l’obiettivo della spedizione.
La vendetta salentina non tardò molto, dal momento che il contributo della cavalleria messapica fu determinante nella battaglia di Eraclea, che vide contrapposti sulle sponde del fiume Siri 20mila romani guidati dallo stesso console Publio Valerio Levino e l’esercito di Pirro che contava 25mila uomini tra fanti e cavalieri e che, dopo avere tentato di impedire il guado romano del Siri con cariche di cavalleria, si dispose in battaglia con la falange al centro e due ali di cavalleria ed elefanti ai lati. Fu proprio la cavalleria, nella quale combattevano i messapi, ad essere decisiva all’esito della battaglia, favorevole a Pirro, dal momento che riuscì a mettere fuori combattimento l’inesperta cavalleria romana e prendere al fianco l’esercito romano, rompendone lo schieramento. Il bilancio per i romani fu pesantissimo: il campo perso, 14.800 fanti romani morti, 1.310 prigionieri, 286 cavalieri romani morti, 802 cavalieri romani prigionieri e 22 insegne perdute a fronte delle pur ingenti perdite dell’esercito di Pirro, ammontanti ad oltre 13mila uomini.
Un geniale stratega
Pirro, del resto, costituiva l’erede designato di Alessandro Magno, condividendone il genio, e come diceva Tito Livio, anche l’avventatezza. Non aiutò lo stratega illirico la buona sorte, trovandosi dinanzi la potenza nascente di Roma, ma nonostante ciò nemmeno la storiografia filo romana mai negò a Pirro quelle qualità e quei pregi che invece non riconobbe a ben più illustri nemici. Il re dell’Epiro, oltre ad essere un valentissimo condottiero, incarnava in sé tutte le caratteristiche del despota ellenistico, ossia astuzia politica, abilità nel sapersi adattare ai capovolgimenti di fronte ed al mutamento della situazione, facondia ed una cultura filosofica di prim’ordine. Era soprattutto in grado di pensare in grande, non limitandosi ad essere un conquistatore di terre e di popoli, ma offrendo ai popoli conquistati ed associati una prospettiva di civilizzazione.
Le sue riforme in campo militare servirono ai romani come modello per riformulare lo schema della legione, che da falangitica stava trasformandosi in manipolare. Fu proprio osservando il campo di Pirro a Benevento che i romani trassero il modello per il futuro per quanto riguarda l’accasermamento e l’urbanistica delle nuove città, che non seguirono più lo schema circolare risalente al neolitico, ma prevedevano uno schema geometrico, quadrato ed ordinato, con una piazza d’armi e due assi perpendicolari, il cardo ed il decumano.
A Pirro si deve inoltre un progetto ambiziosissimo, che può apparire addirittura ai contemporanei impossibile: un ponte di barche che unisca le due sponde dell’Adriatico e che congiunga il porto di Otranto a quello di Apollonia in Epiro (l’odierna Valona). Tale progetto straordinario sarebbe servito a abbattere i tempi di rifornimento per le sue truppe impiegate nella difficilissima campagna italiana, dal momento che i convogli delle navi dovevano fare i conti con le condizioni del mare. Il progetto non si realizzò solo perché mutò la fortuna dell’esercito epirota, e Pirro, battuto in battaglia dovette riprendere quel mare dal quale aveva portato alla Messapia ed al Meridione una rifioritura degli antichi fasti, che la doverosa vendetta delle legioni romane cancellò per sempre.
Vincenzo Scarpello