Per le due associazioni ambientaliste votare “sì” al referendum del 17 aprile significa far capire al Governo che il futuro energetico del Paese deve essere legato alle fonti rinnovabili
I movimenti ambientalisti italiani sono compatti nella campagna a favore del “sì” in vista del referendum del prossimo 17 aprile. Tra le posizioni più nette compaiono quelle di Legambiente e Greenpeace Italia le quali, oltre alle ragioni di carattere economico e ambientale, individuano altri aspetti, soprattutto politici, per i quali chiedono con forza di recarsi alle urne e crociare sul “sì”.
Su questo verte l’intervento di Roberto Ingrosso, responsabile dell’iniziativa “Campagna Attiva” di Greenpeace Lecce: “Vogliamo lanciare un messaggio politico al Governo, cioè accelerare nella elaborazione di una strategia energetica basata sulle fonti rinnovabili; è la comunità scientifica a chiedercelo e lo ha fatto soprattutto in occasione della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici tenutasi negli scorsi mesi. Con questo referendum puntiamo ad abrogare una norma inserita solo di recente nella Legge di Stabilità: vogliamo cioè bloccare la possibilità che vengano concordati ulteriori permessi alle concessioni già assegnate alle piattaforme presenti in mare alla distanza massima dalla costa di 12 miglia. L’ultima concessione scadrà tra circa 10 anni, un tempo sufficiente per sostituire con politiche di risparmio energetico ed efficienza basate sulle energie rinnovabili la produzione odierna delle piattaforme, che peraltro contribuisce in misura irrisoria al fabbisogno italiano. Da un decina di anni Greenpeace -conclude Ingrosso-, con i suoi report Energy Evolution, chiede di agire in questo modo, sottolineando il carattere impattante dei combustibili fossili”.
Concetti ribaditi anche da Maurizio Manna, direttore regionale di Legambiente, il quale si concentra anche su alcune dinamiche politiche che spiegherebbero la contrarietà del Governo, compresa la sua campagna per l’astensione: “Chiedere ai cittadini di non andare a votare per impedire il quorum, oltre ad essere antidemocratico, rappresenta la via più veloce affinché il referendum non abbia effetto; d’altronde, gli ultimi sondaggi vedono il fronte del ‘sì’ nettamente in vantaggio. Se però il governo si oppone al referendum e al rinnovo della produzione energetica sfruttando le rinnovabili, il motivo è da ricercarsi nelle fortissime lobby presenti nel settore degli idrocarburi, soprattutto il petrolio; d’altra parte, l’Eni è l’azienda italiana con il fatturato più alto. Questo impedisce all’Italia di prendere la strada delle rinnovabili, che darebbero più posti di lavoro e sostenibilità e proietterebbero il paese verso il futuro. L’Italia, oggi, dovrebbe competere nei mercati internazionali con le nuove tecnologie di produzione energetica”.
Alessandro Chizzini