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Mare nostrum

Il 17 aprile gli italiani sono chiamati alle urne per il referendum sulle trivelle. Mentre i rappresentanti del Governo invitano all’astensione, il fronte del “sì” si allarga sempre di più a causa dei timori per i pericoli per l’ambiente e le perplessità sui reali benefici economici derivanti dalle attività di ricerca ed estrazione del petrolio. Intanto il Salento ha già deciso: non abbiamo bisogno delle trivelle, occorre investire in energie rinnovabili 

 

Il recente scandalo “Tempa Rossa” e il risarcimento miliardario a carico della British Petroleum per il disastro ambientale del 2010 nel Golfo del Messico, hanno invaso le cronache proprio nel momento più caldo a poco più di una settimana dal referendum sulle trivelle del 17 aprile. Il quesito chiede agli italiani di decidere se i permessi rilasciati per estrarre idrocarburi nei mari intorno alla Penisola fino a 12 miglia dalla costa devono durare fino all’esaurimento dei giacimenti, come prevede attualmente la norma, oppure fino al termine della concessione. Un referendum abrogativo che in caso di vittoria del “sì” obbligherebbe lo smantellamento delle piattaforme una volta scaduta la concessione. Non cambierà invece nulla per le perforazioni su terra e in mare oltre le 12 miglia, che proseguiranno, né ci saranno variazioni per le nuove perforazioni entro le 12 miglia, già proibite dalla legge. 

Il referendum è il risultato dell’iniziativa di dieci Regioni (scese a nove dopo la rinuncia dell’Abruzzo), compresa la Puglia, i cui Consigli hanno votato all’unanimità a favore dell’indizione del referendum, primo caso nella storia del nostro Paese. All’origine di questa scelta i pericoli per l’ambiente naturale derivanti dalle attività di prospezione ed estrazione e i dubbi sugli scarsi benefici economici ed occupazionali. 

Il quesito referendario, però, si presenta circondato da alcuni particolari aspetti politici. A cominciare, ad esempio, proprio dalla Puglia, una delle regioni maggiormente interessate dalla strategia del Governo, al quale il Consiglio regionale ha lanciato un forte messaggio votando all’unanimità l’adesione alla richiesta di indizione del referendum. Una consultazione, inoltre, che ha così ulteriormente messo in evidenza la spaccatura esistente all’interno del Pd, che governa sia a Roma che a Bari, che in altre delle nove Regioni. E che il maggior partito italiano non abbia le idee chiare emerge anche dai cambi di posizione di alcuni suoi esponenti come l’onorevole Debora Serracchiani e la salentina Teresa Bellanova, viceministro allo Sviluppo Economico, che in passato si erano schierate contro le trivellazioni in mare e oggi seguono la linea di Renzi. 

Mentre il Governo opta per l’astensione al voto, andando così contro ai principi costituzionali, il fronte del “sì” aumenta, soprattutto in Puglia, con la nascita di un Comitato Ambientalista e la forte presa di posizione di enti e associazioni quali il Parco Otranto – S. Maria di Leuca, Anci Puglia e Provincia di Lecce, oltre alla totalità delle Amministrazioni comunali. Tutti sono consapevoli che la vittoria del “sì” non significherà l’abbandono alle attività delle piattaforme, ma il loro obiettivo è quello di lanciare un messaggio forte al Governo: salvaguardare il proprio territorio e puntare sulle fonti di energia rinnovabile. 

 

Energie rinnovabili in Italia, tante potenzialità e troppi ritardi 

 

Il messaggio che il fronte del “sì” vuole lanciare è chiaro: l’Italia deve rendersi protagonista di una svolta netta e immediata, basando la futura politica energetica sulle fonti rinnovabili. E che le rinnovabili siano il futuro lo confermano anche i dati relativi alla produzione di energia elettrica degli ultimi anni: in poco tempo, la quota prodotta con le fonti alternative ha raggiunto il 20% del totale, senza considerare l’energia derivante dall’idroelettrico, col quale la percentuale supera il 40%; la conseguenza principale è stata l’accresciuta dipendenza energetica dell’Italia. Dati positivi riferiti però soprattutto al fotovoltaico, ma non all’eolico, per il quale manca una vera regolamentazione. 

In sostanza, però, si è davanti ad un aumento del loro utilizzo che aveva portato anche oscillazioni positive al tasso di occupazione: il ricorso alle rinnovabili ha infatti creato dai 50mila ai 100mila nuovi posti di lavoro, che però rischiano di perdersi a causa di alcuni provvedimenti governativi che, di fatto, bloccano lo sviluppo del settore, come lo “Spalma incentivi”, i “Prezzi minimi garantiti”, l’Imu o la “Robin Hood Tax” (quest’ultima giudicata poi anticostituzionale). È però necessaria una regolamentazione chiara e precisa sulle fonti rinnovabili, che ne disciplini il corretto utilizzo; non sono infatti rare le installazioni di impianti fotovoltaici ed eolici in aree in cui possono avere un particolare impatto, come terreni agricoli o aree dal particolare valore culturale o paesaggistico. 

La strada delle rinnovabili è d’altronde quella intrapresa da mezza Europa e anche dal Marocco, dove si sta realizzando il più grande impianto a energia solare del mondo: lo stato africano sta così sfruttando quella che è la sua principale risorsa, il sole, la stessa dell’Italia, della Puglia e di tutto il Mediterraneo. Non solo, il ricorso alle fonti di energia rinnovabili negli ultimi anni ha inoltre permesso la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e delle polveri sottili, come richiesto alla conferenza di Parigi (Cop21). E a dire “sì” al referendum e alle rinnovabili, interverrà anche la musica, con due concerti: il 10 aprile a Bari e il 14 al Parco Gondar di Gallipoli, con Nandu Popu direttore artistico e che vedrà la partecipazione tra glia altri di artisti quali Valerio Jovine, Bunna degli Africa Unite, Boomdabash, Cesare Dell’Anna, Miss Mykela, Cesko e Puccia degli Après La Classe.

 

Alessandro Chizzini