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Egregio direttore,

sono rimasta ancora una volta tristemente colpita dall’ennesimo tributo di sangue italiano nella missione di pace in Afghanistan. Un’altra giovane vita stroncata per difendere i valori di solidarietà e cooperazione internazionale che il nostro ruolo istituzionale ci impone nelle zone calde del pianeta. Una morte che ha sconvolto tutti, che ha acceso il dibattito politico sulla opportunità o meno di continuare tale missione e che ha riaperto ferite mai cicatrizzate a tutti coloro che hanno subito la stessa, insopportabile perdita di un parente, di un amico, di un conoscente.
Molti nostri ragazzi si arruolano per tentare di raggiungere una stabilità occupazionale altrimenti non garantita dalla nostra terra, che ad un certo punto ti sventola il cartellino rosso dell’espulsione diretta verso altri lidi, dove il lavoro, anche se pericoloso o precario, lo si può trovare. A prescindere dal proprio credo politico, forse è giunta l’ ora di valutare l’efficacia reale di questi viaggi verso la morte, che colpisce senza preavviso e che in un attimo e getta nello sgomento intere famiglie e comunità. È evidente, infatti, che i nostri ragazzi non possono contare su mezzi militari impermeabili ad ordigni sempre più potenti, ad attentati imprevedibili, a nuove e terribili strategie di attacco.
Alle famiglie di questi volontari della pace, rivolgo un pensiero sentito di vicinanza e ammirazione per i loro cari, eroi silenziosi e perenni della nostra Storia.

 

Lettera firmata