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VIDATOX: scorpione o bufala?

Sono tanti gli italiani (e i pugliesi in particolare) che in questi giorni si recano in Albania per ottenere il Vidatox, il “miracoloso” preparato che avrebbe il potere di curare il cancro. Se si tratta di un palliativo o di terapia efficace dovrebbe dirlo la scienza, ma la sperimentazione sull’estratto dal veleno dello scorpione azzurro cubano tarda ad essere avviata, favorendo i costosissimi “viaggi della speranza” 
 
La speranza di curare il cancro ha la forma dello scorpione azzurro. E si chiama Vidatox. Non si parla d’altro negli ambienti scientifici nazionali, soprattutto dopo il sequestro a Bari di oltre 200 confezioni arrivate in Italia per essere rivendute attraverso il porto franco di San Marino. Ma di cosa si tratta? Il Vidatox non è altro che un preparato organico utile, secondo la medicina cubana, per rallentare la proliferazione delle cellule tumorali. Un rimedio naturale organico a base di veleno diluito dello scorpione (Rhopalurus Junceus). 
La storia comincia negli anni Ottanta a Cuba quando alcuni contadini in maniera empirica verificarono che animali malmessi, se punti da uno scorpione azzurro, tornavano ad avere piena salute. Il veleno secreto dall’animaletto da cui si ricava la tossina curatrice, dovrebbe avere, secondo la Labiofam -la casa farmaceutica statale cubana-, un’efficacia antinfiammatoria, antidolorifica, immunoregolatrice e antitumorale così come si evincerebbe dagli studi di un biologo della provincia di Guantanamo, Misael Bordier.  
La notizia, come è logico, si è diffusa in questi anni in maniera incredibile, facendo proliferare i viaggi della speranza tra l’isola caraibica e l’Italia. Una richiesta costante e prolungata nel tempo che ha richiamato l’attenzione anche dei canali televisivi nazionali: due servizi de “Le Iene” hanno mostrato la disperazione dei tanti connazionali costretti ad estenuanti ore di volo per ottenere il farmaco rinvigorente. 
Nasce così l’idea della Pharma-Matrix, rappresentante ufficiale della Labiofam di Cuba, che nel giro di pochi anni decide di impiantare a Tirana (e da qualche mese anche a San Marino) un centro per la somministrazione del preparato derivato dal veleno dello scorpione azzurro. L’abbattimento dei costi per chi è in cerca del preparato diventa notevole. In Italia l’estratto, al momento, non ha i crismi del farmaco secondo quanto riferito dal Ministro della Sanità, Ferruccio Fazio e che, da alcuni medici, è paragonato al “Siero di Bonifacio” o alla “cura Di Bella”. 
Diverso l’approccio del dottor Francesco Schittulli (nella foto), intenzionato a fare finalmente chiarezza sulla questione chiedendo al Ministero che venga avviata la sperimentazione: “O si tratta di un farmaco antitumorale e ci sono dei protocolli scientifici da seguire. O di una sostanza, non di un farmaco, ‘compassionevole’. Anche in questo caso, è previsto un protocollo perché utile a sollevare psicologicamente il malato. Non si può vendere acqua fresca come fosse un farmaco”. In attesa di dare una certezza ad oltre 35mila malati di cancro che hanno creduto al “veleno dello scorpione”. 
 
 

Matteucci: “La sperimentazione dimostrerà che il Vidatox è un antitumorale”

 
Il presidente di  Pharma-Matrix, l’azienda farmaceutica rappresentante ufficiale della cubana Labiofam, è ottimista e difende quello che lui considera un vero e proprio farmaco omeopatico
 
Dal Salento a Cuba per provare il farmaco anticancro prodotto dal veleno dello scorpione azzurro: solo nel 2010 sono stati circa 60 i malati oncologici partiti alla volta di dell’isola dei Caraibi. Dal Salento ma anche da tutta la Puglia per unirsi a quell’esercito di circa 35mila italiani che negli ultimi cinque mesi hanno percorso lo stesso tragitto per i Caraibi carichi di speranza. 
Guardato con sospetto dalla comunità scientifica e con speranza dagli ammalati e dalle loro famiglie, l’efficacia del Vidatox dovrà essere testata con esattezza. In attesa che questa molecola, estratta dal veleno dello scorpione azzurro di Cuba, percorra un altro passaggio decisivo del suo lungo iter scientifico, la sua enorme diffusione ha allarmato il nostro Paese.  Il vicepresidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato, Domenico Gramazio (Pdl), ha infatti inviato un’interrogazione parlamentare al ministro della Salute per conoscere quali azioni il governo “intenda intraprendere, in accordo con l’Agenzia italiana del farmaco, per vietare la distribuzione in Italia”. 
Il presidente di Pharma-Matrix, Francesco Matteucci, crede molto nel progetto e racconta che questo sarà un anno chiave per la molecola. “A settembre 2012 parteciperemo insieme all’equipe cubana di Labiofam a un congresso internazionale sul farmaco. Sino ad oggi -spiega Matteucci- l’iscrizione del Vitadox nella farmacopea cubana parla di un antinfiammatorio, antidolorifico che eleva il livello di vita del paziente oncologico e ne allunga l’aspettativa di vita. Al termine della sperimentazione, se tutto andrà nel modo giusto, potremmo aggiungere che è un antitumorale”. 
Il presidente di dell’azienda rappresentante ufficiale della cubana Labiofam, spiega la diffidenza verso il prodotto anche con l’atavica avversione della medicina ufficiale -quella allopatica- per la sua cugina omeopatica. “Quando va bene, i medici dicono che è acqua fresca -si sfoga Matteucci-. Soprattutto in Italia l’omeopatia incontra numerose resistenze anche a livello normativo. Eppure -continua- il processo di estrazione richiesto per questo farmaco, che si basa sulla diluizione del veleno in soluzione idroalcolica, ha permesso a questo principio, prima difficilissimo da conservare alle temperature richieste dalla diluizione in acqua, di diventare più accessibile”. 
I costi del protocollo Vitadox, prescritto dai laboratori cubani della Labiofam o da quelli albanesi della Pharma-Matrix, hanno infatti prezzi più che accessibili rispetto al mercato nero. Si tratta di poche centinaia di euro per una cura intera, cui viene accostato anche una sorta di ricostituente che sollecita il sistema immunitario, il cui acquisto è del tutto facoltativo. 
 
 

Serravezza: “Non si devono creare false speranze”

Nei confronti del Vidatox l’oncologo Giuseppe Serravezza, presidente provinciale della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, è molto scettico. E sottolinea: “Sembra una storia già vista, come il siero Bonifacio e la cura Di Bella” 
 
Anche se con il beneficio del dubbio perché è ancora in corso la sperimentazione, quella del Vidatox sembra una storia che già vista, almeno per l’oncologo Giuseppe Serravezza (nella foto), presidente provinciale della Lilt, che ha sottolineato come in questi anni tanti prodotti “miracolosi” ai malati di tumore hanno dato speranze, ma non soluzioni. 
Dottor Serravezza, cosa ne pensa del Vidatox? 
Prima c’è stato il siero Bonifacio, poi lo Squalene -anche questo proveniente dall’area di Cuba- infine la cura Di Bella. Ci sarebbe da scrivere lunghi trattati sui rimedi antitumorali e le riflessioni che scaturiscono sono tante e amare per la categoria dei medici. Nel 2002, in occasione degli Stati Generali dei Malati di Tumore, pronunciai delle parole a cui seguirono azioni legali, oltre che improperi: dissi che questi fenomeni erano figli delle anomalie della medicina ufficiale. E li creiamo noi stessi. 
In che senso? 
Ci sono tante aspetti che, secondo me, non vanno nella medicina ufficiale, come il fatto che si generano delle attese smodate nei pazienti: l’Oncologia oggi ha un alto costo, che non si traduce spesso in un beneficio reale. Leggevo un articolo su un tabloid di medicina inglese, secondo cui facciamo tutto oltre le reali possibilità della medicina. E in questo contesto si crea nella gente un sospetto di fondo nei confronti dei medici, che induce a cercare altrove le risposte che questi ultimi non sono in grado di dare. 
Quali sono i rischi che si corrono in casi come questi? 
Si provoca un disorientamento nella gente. Nello stesso articolo che citavo prima si leggeva che la medicina è sollecitata a “sovratrattare” i pazienti, spesso peggiorandogli le condizioni di vita. Sono fatti gravi che coinvolgono oggi la comunità scientifica, contraddizioni drammatiche che provocano costi enormi per la sanità e i malati. E quindi saltano fuori i “santoni” che promettono altro. 
Perché il Vidatox viene sperimentato in Albania e non in Italia? 
È chiaro che un’azienda farmaceutica opera dove le leggi lo consentono meglio. In Italia -fortunatamente- siamo in un contesto europeo, che costituisce una garanzia migliore per medici e pazienti. 
Quando si diagnostica un tumore, il paziente è così disperato che spesso si allontana dalla medicina ufficiale e si rivolge a chiunque possa offrirgli una soluzione. Si parla molto in questi casi del ruolo delle aziende farmaceutiche. 
Non tutti sanno però che fortunatamente il 50% dei tumori guarisce, ed è solo nell’altra metà dei casi che siamo impotenti. Quando, purtroppo, in un campo nessuno ha in mano la soluzione, si creano spazi per tutti, come i ciarlatani e gli affaristi interessati ai guadagni che possono ricavare. Quando un rimedio viene da istituzioni scientifiche non sempre è un rimedio “totale”, anche se può portare qualche beneficio. La cosa più grave, come ho affermato poc’anzi, è che il mercato ha prodotto una mentalità comune, una “pseudocultura” per colpa della quale si generano attese. Ricordiamoci che la buona pratica clinica considera il tumore come una malattia cronica, con cui si può anche convivere sulla base dell’evoluzione della malattia stessa. All’estero, ad esempio, i medici non prescrivono cure che possono rappresentare semplici placebo: la medicina deve cercare soprattutto di non provocare danni più gravi ai pazienti, nel tentativo di curare ad ogni costo.