Lezioni all’aperto, cortei e occupazioni pacifiche a Lecce contro la riforma dell’università voluta dal Ministero dell’Istruzione
“Il futuro non ce lo ruby”. Lo slogan, simbolo della protesta salentina contro la riforma dell’università voluta fortemente dal ministro Gelmini, campeggiava a Porta Rudiae mentre alla Camera si discuteva il testo e per le strade di tutta Italia, e anche sui tetti, veniva messa in scena una rappresentazione della protesta che rimanda ai tempi dello scontro duro e senza sconti tra lo Stato e pezzi consistenti della società.
La Camera ha approvato il testo di riforma dell’Università e ora si passa, in terza lettura, al Senato. Il diluvio di proteste si è trasformato in alluvione e anche Lecce ha fatto la sua parte con una lezione che il professore associato dell’università del Salento, Stefano Cristante, ha deciso di tenere all’interno del rondò che si trova al centro di arterie trafficatissime con l’incrocio che porta in centro e alla superstrada per Brindisi. Martedì 30 novembre, giorno dell’approvazione del testo alla Camera, le strade di Lecce sono state invase da una folta manifestazione che si è conclusa con l’occupazione pacifica dell’Anfiteatro. Certo, c’è la nota di colore dell’abbandono del corteo da parte di ricercatori e docenti che proprio non ce l’hanno fatta a seguire gli studenti in un percorso che prevedeva, anche, perfomance atletiche. Secondo le forze dell’ordine i manifestanti erano circa 1.500, ma gli organizzatori parlano di 2.500 persone tra le strade e poi nell’Anfiteatro. Insomma, il solito rimpallo di numeri sull’adesione alla protesta, ma è certo che la città martedì era congestionata dal traffico. Sin dalle prime ore del mattino, viale dell’Università e viale Calasso, erano bloccati e non sono mancati petardi e fumogeni. Fortunatamente la protesta non è debordata in scontro fisico con le forze dell’ordine come è accaduto a Roma, ma la tensione è alta e il fronte del no alla riforma è granitico.
La partecipazione attiva degli studenti probabilmente va al di là dei contenuti della riforma. Dietro la loro protesta e il loro urlare c’è la paura di un futuro che ogni giorno la Tv racconta essere privo di prospettive, incerto e insoddisfacente. Poi naturalmente ci sono le ragioni dei diretti interessati, di quei docenti che aspettavano una riforma che smuovesse la palude del mondo accademico e, secondo il loro punto di vista, con questa riforma non cambierà nulla o addirittura le cose peggioreranno. Il fulcro ruota attorno ai cosiddetti “baroni”, i professori ordinari che gestiscono, di fatto, gli ingressi dei ricercatori e degli associati. Il meccanismo, anche questo ben noto, mai smantellato, prevede un lungo purgatorio come “portaborse” del professore ordinario e poi, “se ti comporti bene”, viene bandito un concorso cucito su misura per le competenze e il profilo professionale di chi per anni ha fatto una dura gavetta, anche a titolo gratuito.
Maddalena Mongiò