Nella tendopoli di Manduria regna la confusione: da quella dei numeri, che variano tra fughe e costanti arrivi, a quella della politica, in ansia alla ricerca di complesse soluzioni. Infine, quella dei tanti protagonisti dentro e fuori dal campo
Sole che acceca, polvere da mordere e una speranza nel cuore: è una distesa di umanità, quella che si distende allo sguardo sui luoghi di Contrada Paione, uno sciame di anime in pena, che si aggroviglia fuori e dentro la tendopoli allestita a Manduria, nel tarantino. In cerca di sé, del proprio futuro e di un pezzo di sogno da coltivare. L’odore dell’aria è acre, imbevuta della precarietà di persone, stipate da giorni in un posto che non è esattamente quello immaginato, a far la conta delle speranze e dei disagi, a scontrarsi con lo sporco, il sudore, l’assenza di ricambi. È gente in fuga dal proprio passato, vuole lavoro e grida come il ritornello di uno stornello il proprio desiderio di libertà.
Sullo sfondo, si delinea un’altra pagina di accoglienza, scritta dal popolo pugliese, seppur nelle contraddizioni palesi e nel caos di un’emergenza prevista, eppure esplosa come se fosse un fulmine a ciel sereno e che oggi si fa davvero fatica a contenere. “Emergenza” è la parola che risuona costantemente dentro il viaggio ideale, che sembra non avere tempo e si muove tra facce riarse in attesa di un domani definito: gli ospiti della mega tendopoli, allestita in poche ore nell’ex aeroporto militare e ben presto satura di immigrati, arrivano per lo più dalla Tunisia. Sono in questo lembo di terra, per alleggerire il carico umano sbarcato a Lampedusa, in attesa di una destinazione più chiara. Perché, sia inteso, qui, di certezze ce ne sono davvero poche: i nord africani sono in Italia, ma per lo più confidano di andare in Francia e Germania, per ricongiungersi alle proprie famiglie o dare una svolta al domani.
Manduria di colpo sembra diventata un “non-luogo” col senso rarefatto degli eventi che scorrono. Non si comprende bene neanche la definizione giuridica da dare alla tendopoli: non è un centro di accoglienza, guai a sostenere che sia un centro di identificazione ed espulsione, peggio ancora a pensare che possa essere un lager. Di fatto, assomiglia a un parcheggio temporaneo di storie anch’esse senza definizione. Perché, in fondo, non si sa bene neanche se davanti ci siano “profughi”, “immigrati”, “clandestini”, “rifugiati”, “extracomunitari”. Parole, appunto, che spesso esulano dai vissuti e che di certo non risolvono gli incomodi.
Poi c’è la giostra dei numeri che condiscono il tutto: 1.500 ospiti al massimo, 3.500 in tutto, mille arrivi di qua, 700 fughe di là. Le statistiche si modificano dentro una griglia da terno al lotto, tra presenze reali o supposte, previsioni ottimistiche e dati confusi, fughe di massa, proteste, disperazione e persino il preoccupante fenomeno delle ronde improvvisate a presidiare il territorio. Sul posto, il dispiegamento delle Forze dell’ordine (dai Carabinieri alla Polizia ai Forestali a cavallo) è consistente, così come quello dei volontari: eppure, il clima è surreale, con uomini che superano in semplicità la recinzione e scappano via, verso chissà quale direzione.
In questo quadro disarmante, c’è inevitabile la politica, ansiogena, dubbiosa, divisa sul destino di chi viene accolto ed inevitabilmente di chi accoglie o, in qualche modo, è costretto a farlo. Con le accuse, gli annunci e le promesse disattese, perché nel tarantino nessuno pensava che da un momento all’altro questo territorio sarebbe diventato lo scenario rinnovato di quel che accadde a cavallo degli anni Novanta. La confusione sulle soluzioni, poi, è all’ordine del giorno, con ritardi e diatribe interne agli uomini di governo, mentre quel divario tra Nord e Sud riemerge ancora una volta, accentuato dalla tanto sbandierata “equa distribuzione dell’emergenza”.
Ci sono, infine, gli abitanti del luogo, che chiedono giustamente garanzie di sicurezza e tempi certi per ritrovare la normalità del quotidiano. Gli arrivi, però, non si attestano: altre mille persone sono giunte nel tarantino, nelle ultime ore. Si dice che in un mese Manduria dovrebbe essere sgomberata: lo ha promesso al sindaco Tommasino direttamente il ministro Maroni. Del resto, “ha da passà ‘a nuttata”.
Dalla Tunisia a Manduria (passando per Lampedusa)
Questi i passaggi più importanti che hanno portato all’allestimento della mega tendopoli in Contrada Paione
26 marzo Troppi immigrati a Lampedusa: l’emergenza deve essere gestita con una distribuzione degli arrivi su tutto il territorio nazionale. La premessa del Governo italiano è questa: parte da lì la costruzione di una tendopoli temporanea, a Manduria, nel tarantino, nell’area adiacente ad un aeroporto militare dismesso di proprietà del Ministero della Difesa, per accogliere i profughi venuti in massa dalla Tunisia, in attesa di una più chiara collocazione. La struttura si aggiunge ai cinque centri (tre Cara e due Cie) già presenti a Foggia, Brindisi e Bari.
27 marzo con la nave “San Marco”, arrivano 550 migranti, dentro una tendopoli che ne può ospitare 720. Sul posto, giungono i Vigili del fuoco di diversi distaccamenti della regione, comprese diverse unità dalla provincia di Lecce. Il sindaco di Manduria, Paolo Tommasino, viene nominato commissario per l’emergenza dei profughi.
28 marzo La situazione degenera: si parla di circa 4mila immigrati da ospitare nella tendopoli. Per questo, il Consiglio comunale di Manduria si riunisce in una seduta straordinaria, a cui prende parte il sottosegretario agli Interni, Alfredo Mantovano, che assicura: “Qui non più di 1.500 immigrati”.
29 marzo Arrivano altri 827 migranti. Sul posto, si avvicendano parlamentari di ogni schieramento, delegazioni regionali e provinciali. Il governatore pugliese, Nichi Vendola, attacca la gestione caotica dell’emergenza del governo. E intanto si verificano continue fughe di immigrati dal campo.
30 marzo A Lampedusa, il premier Silvio Berlusconi annuncia che l’isola sarà liberata in 60 ore: di conseguenza, sono previsti nuovi trasferimenti a Manduria. La sera stessa, prendendo atto di questa inattesa evoluzione, Mantovano si dimette. Contemporaneamente si dimette anche il sindaco di Manduria, mentre si stringe un accordo tra Regioni, Province e Comuni per un’equa distribuzione degli immigrati sui territori.
31 marzo Giungono 1.400 immigrati, che raddoppiano il numero previsto nella tendopoli. Rocco Palese difende l’operato del Governo, dichiarando: “Niente allarmismi, al massimo 3.500 immigrati in Puglia”. Il 1° aprile arrivano altri 2.300 immigrati, con numeri che scendono e salgono per via delle numerose fughe. Allarmano le ronde improvvisate da civili che inseguono gli immigrati e li riconducono al campo. Lo stesso ministro Maroni chiama il sindaco di Manduria ed assicura: “Un mese e il campo sarà libero”.
2 aprile Si verificano 700 fughe, mentre sale la tensione fuori e dentro la tendopoli. Il 3 aprile, inizia una protesta notturna di 200 tunisini fuori dal centro.
4 aprile Parte uno sciopero della fame. 62 parlamentari del Pdl esprimono solidarietà a Mantovano, condividendone la tesi e scrivendo a Berlusconi.
L’emergenza prosegue.
Mauro Bortone