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Salento, porto sicuro

L’ultimo sbarco di circa 200 extracomunitari, avvenuto fortunatamente senza vittime nella notte tra lunedì e martedì scorso fra Santa Cesarea e Porto Badisco, conferma il nostro territorio quale luogo d’approdo per tanti disperati alla ricerca di un futuro migliore, a vent’anni di distanza dai primi sbarchi di albanesi. E da gennaio a oggi sono quasi 4.500 gli stranieri sbarcati a ritmo incessante sulle nostre coste 
 
Sono arrivati sfiniti, fradici, infreddoliti ed inzuppati di salsedine, con lo sguardo di chi ha avuto paura e spera che da oggi in avanti il domani sia davvero migliore. Oltre ogni notte burrascosa. Sulle coste del Salento, questa volta l’approdo è stato massiccio, con quasi 200 immigrati, scampati ad un vero naufragio, quello della loro imbarcazione, piegata dal vento su un fianco e caduta in mare. È il più grosso sbarco di questa nuova ondata proveniente dal Nord Africa e da alcune aree del Medio Oriente. 
Hanno rischiato la vita per raggiungere la terra, proprio in quel tratto tra Santa Cesarea Terme e Porto Badisco, nei pressi del “Villaggio Paradiso”, dove storia e leggende si confondono e dove natura e suggestioni diventano un tutt’uno nella memoria dell’attracco del primo migrante, Enea. Sulla rotta dell’eroe, raccontato da Virgilio, però, per questi sventurati c’è stato solo lo spavento di perdere tutto in un attimo. In una fatalità. La barca di circa 20 metri, battente bandiera turca, su cui viaggiavano, infatti, intercettato dalle motovedette della Finanza del Reparto Aeronavale di Bari e del Gruppo Aeronavale di Taranto, forse a causa di una brusca ed avventata manovra da parte degli scafisti, per tentare una disperata fuga, si è piegato sul fianco. C’è voluto l’immediato intervento delle fiamme gialle, per scongiurare la tragedia, con la mente che ancora ritorna a quanto accaduto a Carovigno, e recuperare gli immigrati, traendoli in salvo; qualcuno, però, nella concitazione ha raggiunto la costa da solo (compresi i presunti scafisti), scappando via terra incontro al proprio incerto futuro. 
Rapidi i soccorsi messi in campo, con il trasporto immediato dei migranti al Centro di prima accoglienza “Don Tonino Bello”, dove Croce Rossa e Misericordia di Otranto si sono prodigati per soccorrere il numero sempre crescente degli ospiti, mentre a Santa Cesarea continuavano le ricerche dei dispersi, e le pattuglie di Carabinieri e Polizia perlustravano l’hinterland per riprendere i fuggitivi. Nel cuore della notte, ne sono stati rintracciati alcuni a Cocumola, altri nelle campagne attorno a Santa Cesarea, qualcuno perfino o, all’indomani, sulla Statale per Maglie. 
In tutto, i migranti risultano essere finora 189. Tra loro, ci sono donne e minori, ma soprattutto molti giovani sotto i trent’anni: si dichiarano provenienti dalla Siria, dal Pakistan, dall’Iraq, dall’Iran, dall’Afghanistan, con una buona presenza di palestinesi. Circa una decina i feriti, tra cui i casi più gravi restano quelli di un ragazzo con una frattura al bacino ed un uomo con più fratture e quella di una donna incinta, trasferita assieme ai suoi due figli presso l’ospedale di Scorrano.  
 
 
A Otranto la prima accoglienza è di casa 
 
L’impegno e le difficoltà di operatori e volontari nelle parole di Raffaele De Cicco che, per conto del Comune, gestisce il Centro “Don Tonino Bello” 
 
Una corsa contro il tempo. E soprattutto contro le carenze. Da quelle strutturali a quelle logistiche, dagli alimenti alle coperte. Al “Don Tonino Bello”, di accoglienza si parla poco, la si preferisce mettere in pratica, ogni volta che occorre fare i conti con l’arrivo di nuovi ospiti e con le loro storie di disperazione e speranza. Sul campo, ci sono i volontari della Misericordia di Otranto, un’autentica “corazzata” a servizio delle tante umanità, che transitano dal centro. E c’è il lavoro scrupoloso e silenzioso di Raffaele De Cicco, che, per conto del Comune, gestisce il “Don Tonino”, a stretto contatto con il mondo dell’immigrazione. 
Un motore umano sempre in azione, instancabile, disponibile dentro l’emergenza crescente. Un impiegato-factotum, insomma, il cui apporto è determinante nel coordinare la gestione della necessità dentro alla struttura. Nell’ultima emergenza, dalla notizia del ritrovamento degli immigrati, si è prodigato senza sosta, per non far mancare coperte, latte, biscotti e pasti caldi per tutti. La sua esperienza collaudata gli ha permesso di conoscere per filo e per segno tutta la trafila delle singole operazioni da attivare ad ogni arrivo di migrante: “Quando c’è stato uno sbarco e giungono qui gruppi di persone fermate in mare -afferma De Cicco-, ci si confronta a più livelli, da quello proprio dell’accoglienza, che provvede al ristoro, alla cura e alla sistemazione logistica delle persone, e quello strettamente legato alle operazioni di identificazione”. 
Il primo vero ostacolo da affrontare è quello ovviamente della comunicazione. Vengono inviati dalla Prefettura di Lecce degli interpreti specializzati, che provano a tradurre le richieste degli immigrati: “Si cerca di capire la loro identità, la provenienza, da dove sono partiti e come sono arrivati. Quale sia la loro meta e perché spesso, invece, il loro tragitto si fermi qui”. 
De Cicco ha imparato a guardare in faccia i migranti, a comprendere le loro vite anche nella impossibilità di avere un contatto chiaro, tirando fuori quasi una sorta di identikit degli ospiti passati da qui: “Si tratta -spiega- di gente che difficilmente intende venire in Italia. Nella maggior parte dei casi, le loro mete sono i paesi dell’Europa centrale, soprattutto Germania, Olanda, Belgio, Francia”. 
Tra le motivazioni principali delle loro traversata, c’è la ricerca di una possibilità lavorativa, che permetta loro di vivere meglio di come possono nei paesi nord-africani e medio-orientali, da cui la maggior parte proviene: “Spesso, però, cercano il ricongiungimento familiare, con parenti che sono in Europa da più tempo. Molti, per affrontare questo viaggio, investono tutti i propri risparmi, nella convinzione di poter trovare un futuro migliore, una volta raggiunta la destinazione”. 
Una scommessa di vita, insomma, col rischio di perdere tutto ciò che hanno, pur di correre via dai propri paesi d’origine, fatti di guerra, fame ed assenza dei diritti fondamentali: “Ricordo che una famiglia di cinque persone raccontava ad un interprete, che aveva speso 6.500 euro a testa, per partire dalla sua terra. Molti di loro arrivano qui senza avere più davvero niente a propria disposizione. Di storie come quella ne sentiamo sempre più spesso”. Infine, prima di tornare al suo tour de force, una valutazione sull’età: “Sono prevalentemente uomini, ma non mancano donne e minori. Riscontro una sempre maggiore presenza di giovani, con un’età certamente inferiore ai trent’anni”. 
 
Mauro Bortone