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Romanzo popolare

La morte dei quattro fratellini in un accampamento a Roma ha riaperto il dibattito su una realtà complessa e difficile come quella del popolo Rom, i cui insediamenti ai margini delle città sono sempre più spesso teatro di episodi tragici. Nel Salento la comunità Rom più rappresentativa è quella di Campo “Panareo” alle porte di Lecce, i cui ospiti da tempo cercano condizioni di vita migliori e chiedono aiuto alle istituzioni 
 
Sebastian, 11 anni; Patrizia, 8 anni; Raul, 4 anni; Fernando, 5 anni. È straziante la “lista della morte” che anche questa volta ha toccato innocenti, indifesi (i più piccoli erano anche sordomuti) e bisognosi di attenzioni e cure. Dietro questi nomi si celano le ultime vittime incolpevoli di una tragedia umanitaria lunga secoli, fatta di privazioni e miseria. La lunga storia del popolo Rom che  domenica sera a Roma ha scritto un altro terribile capitolo, un’altra pagina orribile che sempre più spesso ha il suo finale tragico tra le fiamme. “Non possiamo permettere che la gente continui a vivere in baracche di plastica, dove basta un cerino che cade nel posto sbagliato per farle diventare dei forni crematori a cielo aperto”, ha dichiarato il sindaco di Roma Gianni Alemanno, mettendo il dito su una piaga che non appartiene soltanto delle grandi metropoli, ma riguarda anche le nostre piccole comunità in cui i Rom vivono ai margini, immediatamente associati a forme delinquenziali, dove trascorrono un’esistenza priva delle tutele minime. 
Eppure sembra che si possa fare poco per evitare che una madre lasciando soli quattro dei suoi otto figli sia costretta a urlare tutto il suo dolore per una morte assurda, così incredibile dopo le tante conquiste sociali ottenute dalla società moderna. Solo per restare agli ultimi tempi, la “lista della morte” italiana è lunga e riguarda principalmente bambini. Il 27 agosto scorso all’Eur muore Marius bambino di 3 anni, mentre il fratellino di 3 mesi, Marco Giovanni, rimane intossicato e con ustioni sul 40% del corpo. Il 1° luglio sempre a Roma va a fuoco una baraccopoli in via Campigli, senza feriti. A Milano il 13 marzo muore Enea Emil, un ragazzino di 13 anni in un incendio nel campo rom di via Novara. A Firenze il 28 luglio 2009 ancora fiamme in un campo nomadi di via Lucchese, fortunatamente senza conseguenze. Il 26 dicembre 2008, a causa di un incendio, Dorina e il figlio Kristinel di tre anni muoiono a Ostia. Il 19 dicembre 2008 a Foggia un bambino macedone di 2 anni brucia vivo per il cortocircuito di una stufetta all’interno dell’accampamento. 
Secondo una ricerca dell’Ires di don Luigi Di Liegro, nelle quattro regioni meridionali ci sono 98 insediamenti che hanno condizioni di vita al limite: roulotte o baracche spesso prive di acqua e luce. Eppure alcune realtà sembrano andare tracciare un percorso virtuoso e inverso: nella città di Cosenza, ad esempio, risiede da anni una comunità di zingari italiani alloggiati in case popolari. Stessa cosa nel comune di Paduli in provincia di Benevento. Nella città di Catania un gruppo di Rom ha trovato sistemazione in case in affitto, anche se pericolanti. Anche a Lecce, oltre alla difficile realtà di Campo “Panareo” c’è un insediamento di Rom montenegrini che hanno preso degli appartamenti in affitto. La ricerca evidenza un aspetto fondamentale: la necessità di arrivare all’inclusione sociale proprio per creare rapporti meno tesi con il resto della popolazione ed evitare tragedie come quelle di Roma. Il lavoro può essere la chiave di volta per delle vite che non debbono più “bruciarsi” senza alcun senso. 
 
Tutti i numeri del Campo “Panareo” a Lecce
 
I Rom rappresentano da sempre una questione “spinosa” per le pubbliche amministrazioni. Questo accade a causa dei pregiudizi che circondano quest’etnia e il concetto di “etnia” stessa. Nella mentalità comune i Rom sono ladri, pigri e delinquenti, per questo devono stare lontano dagli occhi. All’arrivo dei Rom in Salento -un primo consistente gruppo negli anni ’80 e un secondo nel 1992 durante i primi accenni del dissolvimento dell’ex Jugoslavia, e un terzo a metà degli anni ’90-, si cercò un modo per farli alloggiare. I Rom vivevano precedentemente all’interno di un tessuto abitativo cittadino, ma non se ne tenne conto, e il problema fu affrontato esclusivamente come problema di ordine pubblico e di emergenza sanitaria, mancando una reale prospettiva per l’inclusione sociale. All’inizio i Rom occuparono stabili pubblici lasciati all’abbandono, dai quali vennero presto sgomberati: nacque così il primo accampamento in zona Solicara e successivamente il Campo “Panareo”. 
“Questo tipo di politiche istituzionali -spiega Antonio Ciniero (nella foto), del Comitato per Difesa dei Diritti dei Migranti e dell’Osservatorio Provinciale sull’Immigrazione- ha avuto come conseguenza quella di determinare un’ulteriore ghettizzazione di questi cittadini, una ghettizzazione che contribuisce a rafforzare nell’opinione pubblica antichi e mai sopiti pregiudizi. I campi non solo non offrono alcuna risorsa per chi li abita, ma spesso escludono da qualsiasi possibilità di interagire positivamente con il resto del tessuto sociale”. Attualmente, a Campo “Panareo” ci sono circa 200 persone, di cui 105 uomini e 88 donne: di questi il 46% è nato in Italia e il 30% è nato a Lecce. La popolazione è giovane, oltre il 75% ha un’età inferiore ai 30 anni, e l’istruzione scolastica è presente, molto più che in passato, motivata dall’esigenza del conoscere, non da quella di dare un “contentino” alle istituzioni. 
Il 62% degli intervistati dall’Osservatorio ha un’occupazione, sebbene si tratti attività spesso saltuarie o precarie: queste persone lavoravano anche nel loro paese d’origine, erano impiegate soprattutto in forme di lavoro autonomo, in gran parte artigiano. “I cittadini Rom -continua Ciniero- rivendicano come priorità quella di uscire dal campo e inserirsi all’interno del tessuto urbano e sociale della provincia di Lecce, a partire dalla possibilità di avere accesso a forme abitative più consone e a forme di lavoro regolari che a oggi, anche per i diffusi pregiudizi, di fatto si vedono negare. La ricerca di soluzioni praticabili che vadano verso la direzione di un reale processo di inclusione sociale non è sicuramente raggiungibile nell’immediato. Il suggerimento che abbiamo sempre perseguito è stato quello di chiedere formalmente al Prefetto la convocazione di un consiglio territoriale che avesse come unico punto all’ordine del giorno la possibilità di individuare soluzioni concertate riguardo alle condizioni e ai numerosi problemi e ostacoli che i Rom incontrano. L’azione del volontariato, sebbene importante, risulta insufficiente ed è perciò necessario che vi sia un intervento istituzionale. Ci siamo posti di fronte allo sgombero di Campo Panareo nell’unico modo possibile: siamo sgomenti di fronte a un’ingiunzione priva della firma del sindaco, per di più non si sa che fine faranno le famiglie che da sempre sono lì”. Ciniero non esclude che i Rom potrebbero trovare una differente collocazione anche in altri comuni della provincia, non è necessario che stiano tutti in un unico luogo.