Con l’entrata in vigore della legge sulla privacy e più di recente con il GDPR si sono sollevate diverse questioni riguardanti la gestione dei dati anche in materia condominiale. Difatti, essendo il condominio un luogo di stretta convivenza tra numerose persone, sorge la necessità di gestire e maneggiare i dati di ciascun condomino.
Ed è per tale ragione che, anche in questo ambito, entra in gioco l’equilibrio tra la trasparenza della gestione della cosa comune e il diritto alla riservatezza di ciascuno, garantito dal Codice della privacy. In particolare, è fondamentale comprendere che i dati personali, se incautamente divulgati, possono rivelare informazioni anche particolarmente delicate sugli abitanti del condominio, con conseguente lesione della riservatezza.
La Suprema Corte già in altre occasioni, in osservanza del d.lgs. n. 196/2003, ha ribadito che il trattamento dei dati deve avvenire nell’osservanza dei principi di proporzionalità, pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti, non consentendo che gli spazi condominiali, aperti all’accesso di terzi estranei rispetto al Condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino. Ne consegue che, fermo restando il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche di propria iniziativa, gli inadempimenti altrui rispetto agli obblighi condominiali, l’affissione nella bacheca dell’androne condominiale da parte dell’amministratore dell’informazione concernente le posizioni di debito del condomino costituisce una indebita diffusione di dati personali, come tale fonte di responsabilità civile.
Secondo la recentissima sentenza n. 29323 del 7.10.2022 della Corte di Cassazione, non può sostenersi che sia giustificata l’affissione in una bacheca esposta al pubblico e soggetta a possibile visione da parte di un numero indefinito di soggetti, di un avviso di convocazione attinente la divulgazione della posizione debitoria di uno o più condomini (già peraltro comunicato privatamente), perché si configurerebbe un’eccedenza del trattamento del dato personale rispetto al fine. Di fatto, in simili casi, si verificherebbe uno squilibrio tra la trasparenza della gestione della cosa comune e il diritto alla riservatezza del singolo.
In tal caso, il soggetto leso potrebbe richiedere i danni non patrimoniali subiti in violazione del diritto alla riservatezza, anche facendo ricorso alla prova presuntiva, tenuto conto della natura immateriale del bene della vita concretamente leso. Una volta stabilita la lesione degli interessi protetti, salvo che non sia appurata in modo plausibile e congruente la natura bagatellare del pregiudizio allegato, il danno va liquidato su base equitativa, mediante un modello di stima dell’interesse protetto prudenziale che è connaturato alla natura del diritto leso.
Avv. Gabriele Toma
Avvocato civilista e giuslavorista in Maglie
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