Il tacco d’Italia compatto contro la richiesta di trivellazioni petrolifere al largo del Capo di Leuca, che metterebbero a rischio l’intero ecosistema del Mediterraneo. Intanto la Regione Puglia vuole impugnare il decreto “Sblocca Italia” e i sindaci dei 19 Comuni interessati valutano la possibilità di creare un’area marina protetta
Ultimamente sembra che il nostro Salento sia stato individuato come una delle aree di rilancio dell’economia nazionale. Niente di meglio per un territorio che più altri soffre pesantemente della crisi, se non fosse per un prezzo da pagare: il nostro ambiente. Sì, perché oltre al discusso gasdotto Tap, ad aver messo l’occhio sul nostro mare sono adesso le aziende petrolifere internazionali, convinte che il nostro sottosuolo marino sia ricco di oro nero. Questo interesse per le acque pugliesi e salentine non è certo nuova, ma tutto si è concretizzato con la richiesta ufficiale di una società americana di poter effettuare delle trivellazioni al largo del Capo di Leuca.
Le polemiche da parte dei movimenti ambientalisti non sono tardate ad arrivare e così lo scorso 9 novembre il neonato movimento No Triv, costola del Movimento Regione Salento, ha organizzato una manifestazione di protesta proprio a Santa Maria di Leuca, al grido “Salviamo il mare e il futuro di questa terra”. Un timore non certo infondato e che è legato alla tecnica di indagine per appurare la presenza del greggio, attraverso l’uso di air gun, cariche esplosive ad aria compressa le cui detonazioni in profondità potrebbero avere gravi ripercussioni per l’ecosistema marino.
Il Capo di Leuca è un luogo fondamentale per il funzionamento naturale del Mediterraneo: qui infatti si raccoglie l’acqua densa proveniente dal nord Adriatico, che arricchisce di ossigeno i fondali mediterranei e garantisce la sopravvivenza dei coralli bianchi che vivono nelle profondità al largo di Leuca. A rischio sarebbero anche le millenarie formazioni di alghe calcaree di cui è ricca l’intera costa salentina e alcune specie della nostra fauna marina.
Oltre che sul piano ambientale, la battaglia si combatte anche su quello politico. Nei scorsi giorni il Consiglio regionale pugliese ha votato a larga maggioranza un ordine del giorno col quale si chiede alla Giunta Vendola di impugnare davanti alla Corte Costituzionale il decreto “Sblocca Italia” (in particolare l’articolo 38) emesso dal Governo Renzi, il quale, così come il gasdotto Tap, considera strategiche le trivellazioni marine nel mare della Puglia. A muoversi sono anche i 19 Comuni a cui sono giunte le richieste di ricerca petrolifera, i cui sindaci si incontreranno venerdì 14 novembre presso la sede del Parco Otranto-Leuca di Andrano per valutare l’opportunità di creare un’area marina protetta, così da impedire qualsiasi tipo di intervento di tipo industriale.
Tutti uniti in questa battaglia, quindi, ma non mancano differenze tra i punti di vista: durante la protesta di domenica organizzata dai No Triv si è registrata l’assenza degli altri movimenti ambientalisti, come Legambiente, Italia Nostra o No Tap; i diretti interessati hanno infatti criticato quella manifestazione giudicandola il frutto di componenti politiche in cerca di visibilità.
Boero: “Le trivellazioni? Un buco nell’acqua”
Le trivellazioni al largo del Capo di Leuca rappresentano un potenziale pericolo per l’ecosistema marino, oltre a costituire un esempio della “confusione” che regnerebbe nella nostra classe politica. Così potrebbe essere sintetizzato il pensiero del professor Ferdinando Boero, docente di Biologia marina presso l’Università del Salento.
Professor Boero, perché è pericoloso trivellare il fondale marino del Capo di Leuca?
Perché si tratta innanzitutto di un’area fondamentale per il corretto funzionamento dell’ecosistema del Mediterraneo. Nelle profondità di questo punto, infatti, giunge l’acqua densa che si forma nell’Adriatico settentrionale che dona ossigeno a tutto il Mediterraneo orientale, prima di tutto lo Ionio, e che permette la vita alle formazioni di coralli bianchi che si trovano al largo di Santa Maria di Leuca; in pericolo ci sarebbero inoltre anche le biocostruzioni di alghe calcaree di cui è ricca tutta la costa salentina. Un incidente su una di queste piattaforme petrolifere avrebbe ripercussioni su tutto il Mediterraneo orientale.
Cosa potrebbe accadere nel concreto in caso di incidente?
Basterebbe ricordare cosa è successo in Florida nel 2010, con l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon, che comportò lo sversamento in mare di milioni di litri di petrolio. Oltre alle perdite di vite umane, il disastro ha messo a repentaglio l’esistenza di molte specie di flora e fauna marine, mentre rischia di aumentare l’incidenza di malattie respiratorie e tumorali nelle persone.
Perché secondo lei il Governo italiano considera strategiche queste opere?
Le concessioni petrolifere significano denaro e quindi tutto risponde ad interessi economici. D’altronde è strano che a livello centrale il Pd spinga per le trivellazioni, mentre a livello regionale il parere sia opposto. Non si dimentichi poi che già negli anni ’70 la Magistratura scoprì come i petrolieri corruppero molti politici italiani per continuare a vendere gasolio per produrre energia elettrica.
Quali sarebbero invece le strade da percorrere?
Le abbiamo già intraprese e sono quelle del fotovoltaico o dell’eolico, ma lo abbiamo fatto in modo sbagliato. Ci sono giri di truffe e corruzioni e si costruiscono impianti fasulli solo per ottenere incentivi. Dobbiamo smettere di bruciare combustibile fossile per non aumentare la concentrazione di CO2 e lo stesso Ban Ki-moon ha spiegato che riguardo al riscaldamento globale siamo arrivati ad un punto di non ritorno, proprio a causa dei combustibili fossili. E noi invece ne cerchiamo ancora. Il problema vero è che in Italia non esiste una vera politica ambientale.
Perché è favorevole alla Tap e non alle trivellazioni?
Non ho mai detto questo. Ho solo fatto notare che molti amministratori locali si ergono ad ambientalisti quanto si parla del gasdotto, ma poi criticano l’assessore Barbanente quando nel suo piano paesaggistico vieta nuove cementificazioni. C’è anche il progetto di un gasdotto a Otranto, ma nessuno ha mai alzato la voce in merito. Tutto questo mi insospettisce.
Alessandro Chizzini