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Olio, una crisi dalle radici profonde

Il presidente della Coldiretti leccese, Pantaleo Piccinno, analizza il momento difficile dell’olivicoltura salentina: “Oltre alla fase congiunturale, molto dipende da un spirale speculativa che solo accorti interventi di promozione e di rilancio possono combattere”

 

“La crisi del comparto olivicolo c’è ed è profonda, ma bisogna stare attenti a fenomeni speculativi che, in particolare ad inizio della campagna di raccolta delle olive, diventano ogni anno sempre più consistenti”. Lancia l’allarme l’ingegnere Pantaleo Piccinno, presidente della Coldiretti leccese, soprattutto dopo le notizie che vedrebbero un settore in attesa delle provvidenze da parte dello stato centrale. “Non si vuole negare affatto che il settore sia in difficoltà, anzi parliamo di una situazione strutturale deficitaria di diversi anni. C’è da riflettere però su quanto accade nell’ambito delle quotazioni, come sia possibile che il peggioramento dei prezzi si abbia ogni anno da settembre a gennaio, quando la produzione è in mano ai piccoli proprietari, mentre nelle settimane successive subisce invece una stabilizzazione”.
I produttori quindi rischiano il tracollo proprio a causa di una spirale speculativa che impone un certo prezzo in un dato periodo, mentre più avanti, durante la stagione, c’è una risalita verso la normalità: “È un atteggiamento schizofrenico che rischia di strozzare i piccoli produttori. Per questo intervenire con aiuti senza che vi sia una profonda conoscenza del fenomeno rimane un discorso poco utile, anzi in qualche modo dannoso”. Eppure quest’anno la raccolta, a quanto risulta, non è nata sotto il segno dell’abbondanza. “E quindi dovrebbe favorire la vendita ad una stima congrua. Questo dovrebbe dimostrare che i problemi non dipendono da chi produce e opera con le materie prime”.
Spezzare la spirale speculativa che ha portato le olive salentine di qualità nel mese di ottobre ad essere valutate 30 euro al quintale e meno di 18 quelle per il lampante, è possibile, ma solo con una forte sinergia a tutti i livelli: “Le regole sono chiare e conosciute da tempo -continua Piccinno- e si basano sul buon senso. In primo luogo è fondamentale che venga definita al più presto la normativa sull’etichetta reale. Sulla bottiglia infatti deve essere chiara non solo la produzione salentina dell’olio, la trasformazione per intenderci, ma soprattutto la provenienza delle olive, l’origine della coltivazione”. Un accorgimento che non è un banale espediente burocratico, ma rappresenta un fatto di trasparenza che metterebbe al riparo i consumatori da commistioni a tutto danno della qualità. “Il secondo punto sul quale si dovrebbe intervenire è la distribuzione e la vendita: non esiste, negli scaffali della piccola e grande distribuzione, un lancio efficace dei prodotti salentini. Un paradosso che nuoce, in maniera evidente, all’economia di un settore che si deve basare esclusivamente sull’esportazione e sui rapporti con i mercati oltre regione”.
La necessità di promuovere quanto realizzato nella terra di origine, con la qualità e la cura che contraddistingue i piccoli produttori salentini è una necessità ormai improcrastinabile. “È infine indispensabile -conclude Piccinno- che il Salento diventi esso stesso un grande mercato dell’olio di qualità, creando quel connubio virtuoso che permetterebbe all’immensa mole di coloro che apprezzano le bellezze paesaggistiche della nostra terra, di diventare promotori essi stessi del pregio dell’olio salentino, delle produzioni locali. Da tempo il Salento non conosce crisi turistiche, ma ogni anno riceve pareri positivi per l’accoglienza, il buon cibo e la bellezza dei posti che mette a disposizione dei visitatori: basterebbe legare il passaggio di chi arriva nel nostro territorio ad una promozione spinta dell’olio locale per ottenere un ritorno d’immagine molto consistente. Un rapporto logico che purtroppo non sempre trova la sua definizione a causa del mancato collegamento tra i diversi settori”.