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Medici di famiglia sempre più delegittimati e demotivati

La testimonianza di un professionista che opera da trent’anni in provincia di Lecce e che, oltre a tutti i problemi della sanità in Puglia, si trova ora costretto a spiegare ai suoi pazienti le nuove regole che neanche lui accetta 

 

La porta dello studio aperta pochi minuti prima delle 7 di mattina, la luce sulla scrivania spenta intorno alle 21.30. Poi qualche visita domiciliare a controllare i pazienti che ne hanno più bisogno e, infine, in macchina, destinazione casa. “Vorrei che i politici, prima di fare certi provvedimenti, venissero di persona a vedere come e quanto lavora un medico di periferia -ci confida un medico di base di Leverano-. Nei grossi centri è un conto, ma qui noi lavoriamo 10/12 ore al giorno per vedere poi la nostra professione sempre più delegittimata”.

C’è malcontento, rabbia e delusione nel volto e nelle parole di questo dottore che da più di trent’anni mette la sua professionalità a servizio della comunità ed ora rischia di vedere sminuire notevolmente il proprio ruolo con l’entrata in vigore del decreto Lorenzin. “Non si respira un bel clima tra noi colleghi, c’è molta sfiducia. Ormai si contano le ore che ci dividono dalla pensione -aggiunge- e per un medico è davvero svilente perché viene a mancare lo stimolo per continuare ad aiutare le persone. D’altro canto anche i cittadini, non appena avranno a che fare con gli effetti di questo decreto, alzeranno la voce e lo faranno soprattutto con noi”.

Quella che rischia di crearsi è una pericolosa spirale che ha il proprio centro gravitazionale intorno ad una sola parola: privatizzazione. Non un male in sé, a meno che non vada a depotenziare, praticamente svuotare, il senso del servizio pubblico. 

“In America ci vogliono copiare introducendo garanzie pubbliche nella sanità per aumentare gli standard qualitativi e noi invece copiamo loro con una privatizzazione spinta”. Magari per favorire il circuito delle assicurazioni e rendendo il diritto alla salute sempre meno un diritto e sempre più un privilegio. 

C’è un punto, tra i tanti, del decreto Lorenzin che proprio non va giù, ed è il punto 3 dell’articolo 2 quando a proposito delle prestazioni odontoiatriche si introducono i concetti di vulnerabilità sanitaria e vulnerabilità sociale. “La missione del medico è da sempre quella di prevenire innanzitutto una malattia e poi dopo curarla. Ma curare tutti, il povero come il ricco, senza alcuna distinzione come invece viene introdotta dal concetto di vulnerabilità. Ma se io non mi sento libero di prescrivere alcuni esami per i miei pazienti, come faccio a prevenire?”. Secondo il nuovo software (che i medici di famiglia ancora non hanno a disposizione, ndr) questi dovrebbero vedere se un test è prescrivibile o meno, nel qual caso il paziente viene mandato dallo specialista che dal canto suo non ha mai avuto a che fare con una ricetta rossa, ma solo con quella bianca, rimandando quindi, a mani vuote, il cittadino dal proprio medico curante.

“Noi ormai siamo diventati quasi dei funzionari di Equitalia. Dobbiamo segnalare i certificati che facciamo e che ci facciamo pagare, stare ore a riempire caselle sul computer. Fare il medico non è più gratificante anche perché, costretti come siamo a stare dietro a tutta questa burocrazia, a rischio di essere sanzionati, non riusciamo più a fare una serena valutazione dei singoli casi”. 

 

Alessio Quarta