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L’Università del Salento chiede più soldi. Ma non taglia gli sprechi

Il Consiglio di amministrazione dell’ateneo salentino ha stabilito tagli su ricerca e servizi per la didattica. Intanto si inaugura a Lequile l’ennesima sede

 
La pagella dei buoni e dei cattivi. Con questa devono fare i conti le università italiane passate ai raggi x dall’Anvur (Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema universitario). “Premi” e “punizioni”, conseguenti alle valutazioni, hanno riscaldato gli animi e fatto gridare al pericolo anche il Rettore dell’ateneo salentino, Domenico Laforgia. Mariastella Gelmini si è mossa come un rullo compressore siglando i provvedimenti sulla ripartizione del Fondo di funzionamento ordinario e del Fondo premiale, il taglio dei corsi inutili, i criteri di valutazione per concorsi da ricercatore e la direttiva per il varo dei concorsi 2008. Insomma, il 7% del Fondo di finanziamento, 525 milioni di euro, è stato distribuito in base alla qualità della ricerca (due terzi del Fondo premiale) e della didattica degli atenei (un terzo del Fondo). Quindi c’è chi ride e c’è chi piange. Trento ha ottenuto 6 milioni di euro in più, il Politecnico di Milano 8 milioni in più, Bologna 5, Padova 4. A Foggia è stato tolto un milione di euro e a Macerata 1,13 milioni. Lecce è stata penalizzata, principalmente, dalla bassa percentuale dei laureati che trovano lavoro dopo il conseguimento della laurea. “Queste valutazioni non possono essere avulse dal contesto territoriale -afferma Dino De Pascalis, dirigente del Flc-Cgil-. La responsabilità del tasso di disoccupazione dei laureati non può essere ribaltata pari pari sull’università”. 
Intanto c’è la difficile arte del far quadrare i conti. La cultura è la scommessa sul futuro che una società compie, ragion per cui non può essere penalizzata. Eppure, accanto alla giusta mobilitazione di quanti hanno a cuore le sorti del nostro ateneo, c’è la necessità di metter mano a una struttura che ha molti rami secchi da tagliare e molti sprechi da eliminare. “È di questi giorni l’inaugurazione di un’ulteriore sede dell’università, a Palazzo Andrioli a Lequile -continua De Pascalis- che dovrebbe ospitare tutto il settore ricerca. L’università ha avuto questa sede in comodato d’uso gratuito per trent’anni, ma per rendere idonei gli spazi dovrà spendere quattrini. L’alternativa poteva essere l’insediamento presso il Principe Umberto, ma è stata fatta questa scelta. Siamo secondi solo a Siena come rapporto metri quadrati studenti ed è necessario procedere a una razionalizzazione degli spazi e della pianta organica. Basti pensare che non riusciamo a garantire la specialistica in Scienze della Comunicazione, ma abbiamo una marea di docenti in altre discipline dove l’esigenza è minore. L’università andrebbe riformata completamente rendendo più ampio il controllo democratico dell’università. Ci sono corsi di laurea con pochissimi iscritti: penso a Ingegneria industriale, ma anche ad Economia ci sono molti corsi di laurea con pochissimi iscritti. In alcuni casi parliamo di qualche decina di iscritti. Purtroppo, la diminuzione di fondi non determina un taglio sugli sprechi, ma una diminuzione sui servizi agli studenti. Chi è iscritto conosce bene le carenze delle segreterie, ma anche la casa dello studente è limitata e le borse di studio ridotte”. 
In effetti il Consiglio di Amministrazione dell’Università del Salento ha approvato il bilancio di previsione 2010 riducendo il sostegno alla ricerca e i servizi alla didattica. I famosi rami secchi? Nemmeno una parola. 
 
Maddalena Mongiò