Il 13 dicembre si celebra santa Lucia, molto venerata in Terra d’Otranto, il cui culto ha molte somiglianze con quello pagano e preesistente della dea Demetra
“De Santa Lucia llunghisce la tia comu l’occhiu de la caddhrina mia”, recita un antichissimo detto salentino, antico quanto la storia di questa santa di Siracusa, martirizzata durante la grande persecuzione di Diocleziano per mano dell’arconte Pascasio, il 13 dicembre 304, a seguito di un processo divenuto celebre nei martirologi e nelle agiografie. Un santa famosissima, protettrice della vista, preziosissimo bene che consente agli uomini di vedere la luce, che ebbe illustri devoti sin dai primissimi anni del Cristianesimo, tra i quali spicca perfino Dante Alighieri.
Tale fama ed antichità nel culto ne ha fatto una santa comune sia a cattolici che ad ortodossi, tanto che le città italiane che la hanno per patrona o per compatrona si situano prevalentemente nelle aree di colonizzazione greca, in Sicilia (dalla quale la santa proveniva), in Campania e nella nostra Puglia.
Nel Salento la venerazione di santa Lucia è particolarmente sentita a Scorrano, a Cutrofiano, a Morciano, a Lecce ed ad Erchie, dove, nel Santuario dedicato alla santa, sono custoditi un lembo della pelle e un pezzo di osso del dito di una mano della giovane Lucia, e viene ivi tradizionalmente festeggiata nelle case preparando le pittole, simbolo appunto dell’opulenza del grano, della natura, della vita.
A Scorrano la festa coincide con un’antichissima fiera agricola, che si svolge tradizionalmente nella contrada “neviera”, nella quale si vendono animali da lavoro, attrezzi agricoli, pigne, frutta secca e tutti gli altri prodotti utili alla vita nelle campagne.
Anche il culto di Santa Lucia, come la quasi totalità dei riti dell’antico Salento, corrisponde ad un resistente ed ancestrale culto pagano, localmente diffuso in Terra d’Otranto ed in tutte quelle aree agricole dove si fa urgente la necessità di propiziare la rinascita della natura e l’abbondanza dei raccolti. In queste aree rurali, il rapporto tra religione e natura è talmente forte che l’una condiziona l’altra, e si fa ancora più sentito laddove gli elementi naturali influiscano sulla vita delle comunità. L’elemento principale, a cui dall’inizio della storia l’uomo ha dato valore divino, proprio per la sua caratteristica di latore di vita, è il Sole, l’astro attorno al quale si sviluppa il nostro sistema di pianeti.
I cicli dei due principali pianeti che venivano ritenuti di maggiore influsso sulla natura erano, ovviamente, il Sole e la Luna. E principalmente il Sole, principio divino maschile, celeste, eterno e immutabile, costituiva il fulcro attorno al quale si costruivano le primordiali religioni.
Il suo procedere celeste, ed i suoi benefici influssi sui raccolti, aveva il suo acme nel periodo del raccolto, che coincideva col solstizio d’Estate, mentre la sua fase minima nel solstizio d’inverno. Giornata di morte del vecchio sole e rinascita palingenetica di un nuovo Sole, un nuovo anno, un nuovo ciclo di vita.
Presso le religioni rurali, pertanto, le festività solari corrispondevano a questi due periodi dell’anno. In particolare la festa più importante, da un punto di vista religioso, era quella del solstizio d’inverno, legata a divinità maschili, come Saturno, e femminili, come Demetra.
La celebrazione del solstizio invernale il giorno 13 dicembre e il conseguente ritenerlo il giorno più corto ha una precisa ragione da rinvenirsi negli anni precedenti al 1582, anno in cui Papa Gregorio XIII decise di rimediare allo sfasamento di quasi dieci giorni tra il calendario giuliano e quello astronomico.
Presso l’antica Roma, il giorno 13 dicembre si festeggiava la dea Demetra, la cui ricorrenza iniziava le feste dei Saturnalia, che si concludevano col Dies Natalis Solis Invicti, che cadeva appunto il 21 dicembre, più o meno coincidente con la memoria dell’Incarnazione del Logos divino, il Natale di Gesù.
Gli attributi della dea ctonia Demetra, le spighe e gli occhi, furono traslati sulla santa di Siracusa, martirizzata proprio mediante l’estirpazione del prezioso organo visivo. Come Demetra ritornava sulla terra dopo l’esilio nell’Ade, come già Omero cantò nel celebre inno alla dea, così Lucia, nel cui nome echeggia la pristina lux romana, diverrà la Santa del vecchio ed eterno solstizio.
Vincenzo Scarpello