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L’orco della porta accanto

“E se capitasse anche nella mia famiglia?”. È questa la domanda che molta gente si è posta assistendo alla tragica conclusione della vicenda di Sarah Scazzi. Un episodio che ha messo in luce una realtà confermata da ricerche e statistiche: nel nostro Paese, le violenze commesse all’interno di nuclei familiari hanno superato le azioni delittuose della criminalità organizzata. L’ex comandante del Ris, Luciano Garofano, mette in guardia contro i rischi derivanti da un’eccessiva spettacolarizzazione di questi eventi e avverte: “È molto difficile fare un profilo dell’ ‘orco’ tipo” 
 
La casa, la famiglia, dovrebbero essere il luogo in cui trovi rifugio, protezione, affetto, ma la cronaca racconta episodi cruenti, di violenze che arrivano addirittura a privare della vita, commessi su chi è più debole: donne e bambini. Luigi Spedicato, professore di Sociologia dell’Università del Salento non ha dubbi sul grave disagio che vive la famiglia. “Gli eventi delittuosi sono stabili in termini numerici, ma quelli commessi in famiglia -afferma Spedicato- hanno superato le azioni delittuose della criminalità organizzata. Dopo la pubblicazione dei dati del Ministero degli Interni la famiglia si conferma come il luogo della violenza privilegiata. Per famiglia non intendiamo solo quella nucleare formata da madre, padre e figli, ma dell’intero sistema familiare che comprende parenti, amici e più marginalmente i vicini di casa. La modernizzazione non ha contribuito a modificare in maniera significativa la tendenza quindi possiamo sospettare che i dati siano sottostimati. Per la vittima è più facile denunciare uno sconosciuto, perché non sono messi in discussione rapporti che rischiano di frantumarsi. Purtroppo le famiglie sono sotto stress per ragioni psicologiche, economiche, affettive. I tagli al welfare aumentano la solitudine all’interno delle famiglie e scaricano sulle spalle delle donne problemi pesanti da affrontare. Basti pensare al problema della cura degli anziani. Paradossalmente le difficoltà economiche possono creare una solidarietà che spinge un ragazzo o un bambino a tacere anche su episodi di molestie per non appesantire ulteriormente i problemi della famiglia”. 
Proprio il tormentone che gira attorno alla famiglia dello zio assassino, Michele Misseri e della figlia Sabrina, cugina del cuore di Sarah Scazzi. Qualcuno sapeva e non ha parlato? “Intanto dovremmo definire il concetto di complicità. È possibile, parlo in via ipotetica -precisa Spedicato- che qualcuno sospettasse qualcosa, ma cosa ben diversa è la consapevolezza giuridica. In questa storia c’è principalmente uno scontro di culture: quella contadina e quella urbana, che generalmente convivono, ma alcune volte entrano in cortocircuito. Michele Misseri arriva in un mondo ipersessualizzato, dove i media gli urlano che un uomo può essere predatore di una donna. Bisogna capire se Misseri sia in grado di capire che quella proposta dai media è una sessualità rappresentata e non la realtà. Siamo dinanzi a un episodio di predazione finito male. La frase pronunciata dallo zio («Mi ha provocato») deve essere analizzata. Ovviamente Sarah non lo ha mai provocato, ma la cultura contadina dello zio ha letto il presentarsi poco vestita, come accade a qualsiasi quindicenne che sta per andare al mare, il salutarlo con un bacio sulla guancia, come un’ammissione di disponibilità”. Eppure sino alla confessione e al macabro ritrovamento gli occhi erano puntati su Facebook e sugli amici più grandi. “Rivendico di aver dichiarato subito che Facebook non c’entrava nulla. I genitori non conoscono i loro figli e guardano a Facebook come uno spazio in cui accadono cose di chissà quale gravità. Il fatto che entrambi i genitori lavorino, unito alle difficoltà a cui si accennava prima, fanno si che in una casa possano convivere anche tre generazioni che parlano solo della gestione relativa alla quotidianità”.  
“Povera Sarah. Che Dio l’abbia in gloria!”. Con questa frase Luciano Garofano, consulente tecnico della famiglia Scazzi, sigla la fine della breve e tragica vita di Sarah. L’ex comandante del Ris irrompe sulla scena di questo tragico delitto, per assumere l’incarico di consulente di parte. Porta la sua grande esperienza e, tra le altre, distende i rapporti tra la madre della ragazza, Concetta Serrano, e la Procura. Arriva da Parma per accompagnare la sfortunata mamma all’incontro con gli investigatori ed è quella l’occasione in cui lei racconta particolari importanti. Quali? Ovviamente Luciano Garofano non li svela. “Quando ero al Ris dovevo sfuggire i giornalisti perché ero tenuto alla riservatezza e oggi che con i media collaboro (Matrix, ndr) sono comunque tenuto a non rivelare quello di cui sono a conoscenza perché sono consulente della famiglia”. 
Invita alla pazienza l’ex comandante. “Certamente ci sono ancora aspetti da chiarire, non tutto si è svolto così come il signor Michele Misseri ha raccontato -afferma Garofano- ma l’attenzione eccessiva dei media ha superato la misura. Si sono costruite ipotesi assolutamente fantasiose e prive di riscontro. Assistiamo quotidianamente all’esternazione di chissà quali verità, ma gli elementi certi sono unicamente nelle mani degli investigatori che stanno svolgendo un lavoro egregio”. Non usa mezzi termini, Luciano Garofano, per puntare il dito sullo “spettacolo della morte” che ancora una volta è stato orchestrato “C’è il dolore delle famiglie, doppiamente colpite da una tragedia che si è consumata in casa; c’è il doveroso rispetto per la vittima; c’è la necessità di non intralciare le indagini con indiscrezioni che possono bruciare alcune piste. E questo vale per tutte le indagini. Ma davvero pensate che prima del ritrovamento del telefonino gli inquirenti non stessero, come normalmente avviene in questo tipo di indagini, scandagliando nel mondo di Sarah e quindi nella rete di parenti e amici?”. 
Il riferimento è rivolto a tutte le illazioni più o meno circostanziate che hanno preceduto e seguito il ritrovamento di Sarah. A turno sono stati presi di mira i familiari, senza risparmiare né la madre né il padre. Lei, Concetta Serrano, per quella compostezza da molti ritenuta freddezza eccessiva e in questi psicologismi si sono avventurati anche giornalisti blasonati; lui, Giacomo Scazzi, per una figlia segreta e per amicizie pericolose. Lo zio, che piangeva e si commoveva e raccontava di apparizioni di Sarah, forse perché si incasellava meglio nelle reazioni scontate che si dovrebbero avere in queste situazioni, non è stato oggetto di congetture da parte degli immancabili esperti, almeno sino al ritrovamento del cellulare e anche lì la macchina delle previsioni ha impiegato un po’ prima di cominciare timidamente ad osservare che “un po’ strano è che proprio lo zio lo abbia ritrovato”. 
Rimane l’incubo del mostro in famiglia o del timore che chiunque possa trasformarsi in carnefice. “Un profilo dell’assassino tipo non può esser fatto. Ci sono le soggettività e meccanismi che scattano negli individui -conclude Garofalo- ma la maggior parte di noi è fatta di brave persone che non sono preda di questi impulsi. Sento di dover dire all’opinione pubblica che le azioni criminali si scontrano contro l’attività di investigazione tradizionale e scientifica che spesso conduce alla verità. Questo dovrebbe rassicurare”. 
 
Maddalena Mongiò