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L’arrivo dei Messapi nella Terra d’Otranto

Mentre nel Mediterraneo si sviluppava la civiltà matriarcale pelasgica, in un luogo lontano, tra l’Ucraina meridionale e a Nord delle montagne del Caucaso si sviluppò quella civiltà che caratterizzerà per sempre la matrice culturale, etnica, politica, linguistica dell’Europa, gli indoeuropei (ipotesi Gimbutas-Cavalli Sforza).
In un periodo arcano, conosciuto come “cultura dei Kurgan”, le popolazioni di quelle lande euroasiatiche, forse inconsapevolmente, diedero inizio alla Storia europea. Popolazioni che seppellivano i morti sotto tumuli di pietre, che si servivano di anfore globulari per conservare i cibi e di asce in pietra per combattere, che soprattutto sapevano addestrare un animale che ne avrebbe garantito il trionfo dalle sconfinate pianure russe fino all’Oceano Atlantico, il cavallo. Grazie all’uso di questo quadrupede gli indoeuropei diffusero, con la forza della loro superiorità tecnica e della loro organizzazione sociale e militare, nella culla della Civiltà il loro modello di vita, fatto di un patriarcato fondato sul concetto di clan, ed un nuovo concetto di religione, politeistica e patriarcale, imperniata sulla figura divina di un Dio Padre (*Dyeus *pÉ™tÄ“r) che non spodestò la Dea Madre preindoeuropea, ma la prese per sposa e la soggiogò.
Dall’Ucraina i guerrieri indoeuropei, portatori di una concezione eroica e guerriera della vita, vissuta come una missione civilizzatrice si scontrarono con la magia femminile della Colchide, generando così i miti classici più antichi, quelli degli Argonauti. E poi si spostarono da lì nei Balcani e verso la Grecia, iniziando quella generazione di eroi, elemento mitopoietico tipicamente indoeuropeo, che parteciperanno in massa alla più grande guerra dell’antichità, che sancì il trionfo di queste popolazioni venute dal nord, bramose di potere e di ricchezza, sulla civiltà antica, compendiata in una Città la cui perpetuazione metastorica è il tutto della Tradizione. I quasi 100mila Greci che assediarono Troia si trovarono contro tutte le popolazioni mediterranee, alleate di Priamo e tra questi i Pelasgi, che posero il campo, come riferisce Omero, tra la turrita Ilio ed il mare. I capi Pelasgi, Iippotoo e Pileo, figli di Leto Teutamide non immaginavano di trovarsi contro guerrieri ben addestrati, che conoscevano l’uso del cavallo, tanto che i loro capi potevano montare su carri da guerra. Né avrebbero potuto immaginare che il nipote di Minosse, re di Creta ed alleato dei greci, avrebbe reclamato una parte del loro Regno come bottino di guerra e come ricompensa per il suo contributo decisivo alla vittoria greca, penetrando con Ulisse all’interno del cavallo di legno, all’interno dell’impenetrabile megaron troiano. Idomeneo Licthius, tornò a Creta dove trovò il suo trono usurpato (evidentemente la regina di Creta non ebbe né la pazienza né le virtù di Penelope), e partì con il suo esercito alla volta della Magna Grecia, dove fondò la Città di Lecce (che da Idomeneo Licthius o Liccius prese probabilmente il nome).
Così il mito racconta come il Salento nel 1.200 a.C. circa, aprì le sue braccia al dominatore Indoeuropeo. Idomeneo introdusse anche nella futura Terra d’Otranto il sistema sociale “trifunzionale”, ossia suddivido in tre classi: i guerrieri, nobili dominatori che eleggevano il loro capo, i sacerdoti, che si separavano così dal potere politico giustificandone però l’investitura divina del potere, ed una terza classe, composta da artigiani, contadini e mercanti. Si rompeva così l’unione tra società e sacro, tra natura e uomo, che aveva caratterizzato per quasi un millennio la cultura mediterranea e Salentina. La Dea Madre conseguì comunque la sua vendetta sugli invasori indoeuropei: gli eroi si innamorarono infatti delle sacerdotesse dell’antica religione delle quali ricordiamo i nomi in Medea, Circe, Calipso, Didone. Regine e streghe agli occhi dei superstiziosi guerrieri, che caddero, come i loro dei, vittime della bellezza del femminino mediterraneo, mentre dall’altro lato cercarono di imporre il loro modello sociale patriarcale e gerarchizzato all’antico modello di società invece equisessuale ed egualitaria.
Dinanzi alla magia dell’antica religione, che aveva cognizione delle fasi degli astri e dei cicli della natura, i sacerdoti indoeuropei rimasero attoniti, cercando di inglobare nelle teogonie delle loro religioni, quelle dei popoli vinti, che non sparì mai del tutto, ma fu semplicemente rielaborata all’interno del Péantheon Indoeuropeo, dove la dea madre Eurinome assunse il nome di Era, Demetra, Cibele o Atena. Erodoto rielaborò la leggenda di Idomeneo, asserendo che il re, indotto da un dio, anzi che desistere nel recuperare il proprio trono usurpato partì alla volta della Sicilia, che tentò invano di conquistare. Da lì, sospinto da una tempesta, approdò con la sua imponente flotta sulle coste del Salento, dove fondò Iria (Oria), imponendo nuovi usi civili e religiosi e mutando il proprio nome da Cretesi a Messapi, ossia coloro che abitano la terra tra i due mari (Ionio ed Adriatico).
L’origine indoeuropea dei Messapi è comunque fuori discussione, provenendo questa popolazione dall’Illiria, e quindi dalla Urkheimat di Kurgan, ed è riscontrata da dati archeologici risalenti all’XI secolo a.c. nelle grotte tra Otranto e Roca. Gli Indoeuropei si stabilirono così nel Salento, quivi assumendo il nome di Messapi, introducendo l’alfabeto, l’allevamento del cavallo, loro animale sacro ed attorno al quale era costruita tutta l’economia e l’esercito. I Messapi potevano infatti vantare una formidabile cavalleria, composta dalla classe guerriera che si accompagnava a paggi e a fanti provenienti dalla terza classe. I nobili montavano due cavalli alla volta ed erano abili nell’uso dell’arco e della spada, vestiti con le pesanti armature tipiche dell’età del ferro, con le sue placche pettorali, schinieri in metallo, elmo conico, scudo largo e spada in ferro, la terribile arma che aveva sancito la superiorità militare dei guerrieri greci sui troiani.
Al cavallo era dedicata la festa più sacra, alla fine di ottobre, durante la quale veniva preparata una catasta di legno a forma di arco (tale forma è rimasta fino ai nostri giorni nelle strutture delle “focare”) ed un cavallo veniva bruciato vivo in onore del principale dio Messapico (Teotor Andrilao) per ingraziarsi gli dei per il nuovo anno agricolo. La principale divinità messapica, Teotor Andrilao, era sposo alla Dea Bana e con essa presiedeva ai Regni dell’oltretomba, ed a loro, in perfetta continuità coi precedenti culti, si sacrificavano maialini e melograni, simboli della fertilità della terra.
I Messapi non fecero altro che convertire i luoghi dell’antica religione sacra alla Dea Madre ai loro dei, e nelle grotte e sulle are megalitiche non si sacrificò più solo ad Eurinome, ma anche a Teotor, introducendo però dei nuovi luoghi di venerazione degli dei, che riproducevano grotte, menhir e dolmen contemporaneamente, ossia i templi, dei quali purtroppo oggi non rimane più traccia visibile.

 

Vincenzo Scarpello