Breve storia dell’Acquedotto Pugliese, una delle opere più grandiose nel nostro Paese, dalla seconda metà dell‘800 ad oggi
Un’opera pubblica monumentale: 22.500 chilometri di rete idrica, oltre 300 comuni serviti, uffici amministrativi, palazzi, fontane pubbliche, serbatoi di raccolta, dighe… La più grande opera di ingegneria idraulica d’Europa, vanto e pregio di un territorio che nel 2011 un referendum, espressione della volontà popolare non solo dei pugliesi, ma di tutti gli italiani, ha sancito essere un bene comune e quindi non suscettibile delle funeste privatizzazioni delle società strategiche del nostro Paese.
Le recenti notizie circa la qualità dell’acqua degli invasi che forniscono le nostre riserve idriche, fanno tornare l’attenzione su quello che a buon diritto può definirsi l’orgoglio di civilizzazione di un territorio che ha sofferto per secoli la sete, tanto che il poeta Orazio così sentenziava: “Siderum insedit vapor siticulosae Apuliae” (“Agli astri giunge l’afa della sitibonda Puglia”). Un progetto che ha radici antiche, dal momento che sin dagli anni immediatamente successivi all’annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, si pensò di modernizzare questa terra che traeva l’acqua da cisterne e pozzi, e che pativa le malattie legate alla malsanità delle acque stesse, dotandola di un moderno acquedotto pubblico.
Dal 1868 fino al 1906 vennero predisposti i primi studi, venne istituita la Commissione che avrebbe gestito l’opera pubblica, che arrivò a fornire i comuni del barese già nel 1915. La Prima Guerra Mondiale segnò una battuta d’arresto delle opere di conduttura e di fornitura di fontane pubbliche, le uniche fonti di approvvigionamento idrico di cui disponevano i cittadini, non essendo ancora diffusa l’acqua corrente nelle abitazioni private. Protagonista della prosecuzione e della conclusione dei lavori, in uno sforzo titanico di energie, di risorse e di lavoro, fu il Fascismo, cui si attribuisce la paternità dell’opera, che, come in realtà si è visto, ha origini più antiche. Ma sicuramente per la Terra d’Otranto e per il completamento nelle altre provincie pugliesi delle opere e della rete idrica, il regime mussoliniano può arrogarsi il merito storico di aver completato quanto di più arduo ed impensabile poteva richiedersi per un territorio endemicamente arso dal sole e avvelenato dalle febbri malariche. Nel 1939 la più grande opera pubblica del Fascismo poté definirsi conclusa.
L’immenso serbatoio di raccolta di Corigliano d’Otranto, visibile ancora oggi da chilometri di distanza, le torri di sollevamento, le migliaia di splendide fontanine in ghisa, che pochi Comuni virtuosi stanno adeguatamente valorizzando per quello che furono, che caratterizzano nella loro semplice eleganza crocicchi, strade e giardini pubblici, i palazzi in stile littorio, i tombini con il sigillo dello Stato di allora e gli stemmi civici dei Comuni, e soprattutto la splendida cascata monumentale di Santa Maria di Leuca, sono le tracce ancora oggi visibili di quell’opera civile, che continua ancora oggi a dare lavoro a centinaia di dipendenti ed assicura un servizio essenziale a tutti, senza il quale igiene, acqua potabile e pulizia non potrebbero essere assicurati ai pugliesi.
Certo le condutture sono spesso rimaste quelle di allora, la quasi impossibile continua manutenzione delle condotte continua ad arrecare danni nei comuni salentini a case e a strade, la pratica infame dell’allaccio abusivo alle condutture da parte di alcuni agricoltori per irrigare i campi a costo zero, la rimozione sistematica dei punti di acqua pubblica, con le tante fontanine che non sono più di uso pubblico ma che adornano i giardini di qualche maggiorente locale, sono alcuni dei problemi che ancora oggi affliggono un’opera che richiederebbe amore e cura da parte di tutti i pugliesi.
Nel 1939 fu inaugurata la cascata che domina il costone di roccia dal Santuario della Madonna de Finibus Terrae, fino al porto di Leuca, in un’ideale congiunzione tra la religione civile e quella dei padri, 284 gradini suddivisi in due rampe nei cui muri di contenimento un tempo risaltavano le scritte “Rex” e Dvx”, a ricordo della diarchia istituzionale del periodo mussoliniano. Ed alla fine, a sugello di una meraviglia ingegneristica inserita in un contesto naturalistico da mozzare il fiato, si staglia una colonna romana donata dal Duce in persona, con una lapide che ricordava la fine dei lavori, cui la mano ignorante dei restauratori scalpellò i riferimenti al governo di quell’epoca.
Ogni tanto, per la meraviglia di residenti e turisti, la cascata viene attivata, e dal 2010 ad oggi è stata sottoposta ad altri restauri, per fortuna meno invasivi rispetto a quelli strutturali degli anni ‘90, che fortunatamente, invece, ne hanno valorizzato la bellezza, con un sistema avanguardistico di illuminazione, che rende gli avviamenti della cascata degli spettacoli unici.
Per anni l’Acquedotto Pugliese è stato argomento di discussione politica, e non si possono dimenticare gli appassionati ricordi che l’avvocato Alfredo Marasco suscitava agli ascoltatori incantati e rapiti dalla sua oratoria forgiata nelle Aule del diritto, in un tempo in cui i tentativi di rimozione lasciarono invece il campo ad una rinnovata consapevolezza di restituire la storia agli storici, sottraendola alle miserie del dibattito fazioso.
Oggi, nel restituire l’acquedotto, la sua storia, la sua memoria e la sua conservazione ai pugliesi, si spera che essi sappiano custodirlo, proteggerlo dai veleni che vengono versati non soltanto negli invasi che ne costituiscono la riserva, ma anche in quel sottosuolo dal quale, inevitabilmente, risalgono all’acqua che viene bevuta.
Acqua, bene raro e prezioso, che è un inalienabile diritto di tutti e che l’Acquedotto pugliese deve continuare a donare, nella sua limpida purezza, agli abitanti di questa terra antica.
Vincenzo Scarpello