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La lotta per sconfiggere l’angioma cavernoso, tra il Salento e Torino

Dall’Università di Torino nuove prospettive terapeutiche per una malattia rara. E grazie anche all’impegno di una famiglia salentina è nata anche un’associazione ad hoc 
 
È nell’agosto del 2007 che papà Giuseppe e mamma Rita, entrambi salentini, scoprono la verità: il piccolo Alessandro, di 8 anni, ha un angioma cavernoso. Si tratta di una malattia genetica rara, poco conosciuta anche in ambito medico. I cavernomi sono delle lesioni vascolari che possono trovarsi nel cervello o nel midollo spinale. I sintomi sono i più svariati: mal di testa, stanchezza, confusione. Per questo motivo molto spesso l’angioma non è facilmente individuabile. 
Quello che però non ci si aspetta, in questa vicenda, è la straordinaria forza di volontà con cui Rita, Giuseppe e Alessandro affrontano la vita da quel momento. Alessandro comincia ad essere seguito dai medici dell’Ospedale Pediatrico “Meyer” di Firenze. Va detto che l’angioma cavernoso non è una malattia riconosciuta. Non è presente, cioè, nell’Elenco delle Patologie Rare. Secondo la normativa vigente esiste infatti un elenco ben definito di malattie rare per le quali il Sistema Sanitario Nazionale riconosce l’esenzione. 
Anche questo ulteriore ostacolo non ha fermato Rita e Giuseppe, che hanno trovato conforto in un’associazione francese, l’Angioma Alliance. Alessandro, nel frattempo, è sereno e, come direbbe un adulto, ha fiducia nella scienza. Quella scienza che “tocca con mano” nei diversi ricoveri ospedalieri che affronta nel frattempo. Ad oggi va detto che Alessandro non ha crisi, ma “solo” cefalee ed emicranie. 
Per provare a sconfiggere l’angioma esiste l’intervento chirurgico, ma alcuni pazienti non sono operabili e non sempre l’intervento è la soluzione definitiva. Gioca perciò un ruolo fondamentale la ricerca scientifica. La sana cocciutaggine di Rita e Giuseppe li ha portati a conoscere un gruppo di ricercatori dell’Università di Torino. L’equipe, guidata dal professor Francesco Retta, docente di biologia applicata, sta effettuando degli studi sulle malformazioni cavernose cerebrali ed ha scoperto un particolare gene associato alla malattia. Rita e Giuseppe hanno incontrato quindi il professor Retta. Il resto è storia recente: lo scorso 24 marzo, ad Orbassano (Torino), nasce così l’Associazione Italiana Angiomi Cavernosi. Una vicenda individuale diviene così l’emblema di lotta per la vita e fiducia verso la medicina e la ricerca. Di marca italiana.
 
“Il nostro obiettivo: coniugare dialogo e ricerca scientifica” 
 
Francesco Retta, presidente dell’Associazione Italiana Angiomi Cavernosi e docente associato di Biologia Applicata all’Università di Torino, spiega la mission del neonato sodalizio.
Professor Retta, a che punto è la ricerca sull’angioma cavernoso?
Una volta individuati i geni sui quali intervenire, abbiamo affrontato procedure sperimentali abbastanza complesse. Ma ora si stanno pian piano definendo i meccanismi molecolari alla base della malattia. Possiamo dire che qualche tentativo di approccio terapeutico è stato fatto.
Quali sono gli obiettivi dell’Associazione Italiana Angiomi Cavernosi?
Mettere in contatto le famiglie italiane e costruire un dialogo continuo con la ricerca. L’idea di costituire un network multidisciplinare di questo tipo nasce dalla convinzione che un approccio integrato che metta in relazione vari aspetti di questa patologia possa garantire un significativo avanzamento delle conoscenze, aumentando le probabilità di definizione di nuovi approcci terapeutici non invasivi ed efficaci.
La ricerca come vive il rapporto con le istituzioni italiane?
Un rapporto molto critico. Se invece per istituzioni intendiamo “Telethon”, direi un ottimo rapporto. Ci hanno supportato anche nella stesura del nostro statuto. La nostra battaglia ora è far sì che l’Istituto Superiore della Sanità includa l’angioma cavernoso nell’Elenco delle Patologie Rare. 
 
Stefano Manca