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La battaglia dei cinghiali

Il servizio trasmesso da Telerama in cui il titolare della Masseria Scusi, tra San Cataldo e Lecce, denunciava una situazione non più sostenibile a causa dei continui attacchi alla sua proprietà da parte di cinghiali selvatici, ha provocato le proteste da parte di animalisti di ogni parte d’Italia, che chiedono a gran voce di non sopprimere gli animali. La Provincia di Lecce, per la quale l’abbattimento controllato è “un male necessario”, non ha però ricevuto ancora il via libera della Regione Puglia 
 
È fare come Sherlock Holmes. Seguire le tracce. Ci sono. Chiarissime. Tantissime. Ma di loro neppure l’ombra. È da poco passato mezzogiorno, il signor Ubaldo Cannoletta ci guarda e fa spallucce: “Si vedono di notte o all’alba. E non potete immaginare quanti ce ne siano. Ma venite qui. Ecco, vedete? Queste cicorie le ho ripiantate tre volte. Sono di nuovo passati da qui, non è rimasto nulla”. 
Il flagello dell’orto di Ubaldo si chiama cinghiale. Anzi, decine e decine di cinghiali. Chi l’avrebbe mai detto. La fattoria è a cavallo tra San Cataldo e Lecce. “Meno di un mese fa è stato incendiato il bosco di Torre Veneri. E sa dove si rifugiano ora? In questo!”. Ci porta a vedere Bosco Fiore, trenta ettari di lecceta e macchia fittissimi. Dall’abitazione di Ubaldo dista sì e no cento metri. È da qui che si muovono, in branchi di 30, 40, 50 alla volta. E di fronte alla loro furia e alla loro fame, cade ogni recinzione. 
“E io sto lì a ripristinarla, ogni volta, ma questo è il danno minore”, ci dice con tono rassegnato. Ubaldo si affretta ad aprirci le stalle. Sono vuote. Solo un nitrito si sente, in fondo al capanno. “Fino a cinque anni fa avevo 40 vitelli e 40 mucche, facevo latte e formaggi. Ci lavoravano i miei figli con me”. Ora di vitellino ne è rimasto uno solo. Un cavallo. Tre maiali. I figli con le famiglie si sono trasferiti da un’altra parte, qui non c’è nulla da fare. “Ma che c’entrano i cinghiali?”, ci viene da chiedergli. “Come cosa c’entrano? Ogni anno -ci risponde Ubaldo- riuscivo a raccogliere centinaia di sacchi di orzo, grano, avena, il necessario per foraggiare gli animali. Quest’anno questo è tutto”. Ci guardiamo attorno. Di sacchi di frumento ne contiamo solo quattro. I cinghiali fanno piazza pulita del raccolto. 
Certo, è normale, se sono allo stato brado. Ma bisogna venire qui, ascoltare il silenzio nelle stalle deserte e desolate di Ubaldo, qui, nella pancia di una famiglia sgretolata ed esasperata, per capire la portata dell’impatto. È l’altra faccia della medaglia. Sì, è una bella notizia il ritorno di questa specie. Non c’è dubbio. Ma dopo secoli dalla sua scomparsa, la zona in cui è ricomparsa è la stessa in cui decine di agricoltori hanno impiantato le loro colture, i loro allevamenti. E per il momento sono questi ad essere cancellati. 
Non c’è possibilità di convivenza? La famiglia Cannoletta non ne ha mai chiesto lo sterminio. Ma il risarcimento danni è il minimo. La richiesta è stata inoltrata alla Provincia di Lecce, che però ha risposto che, essendo l’area parte dell’azienda faunistico venatoria Bosco Fiore, il risarcimento è a carico degli organismi che la gestiscono. Così è stata indirizzata all’azienda, che pure ha risposto picche: la legge stabilisce che il privato deve pagare i danni causati solo dalla fauna selvatica stanziale. Ma in questo caso si tratta di animali ibridi, incroci insomma tra cinghiali e maiali, sfuggiti o liberati dal recinto con la responsabilità -scrive l’avvocato di Bosco Fiore- di chi li aveva in custodia. Anzi, aggiunge, l’azienda faunistico venatoria ha già chiesto, senza risposta, alla Provincia di dare l’ok ad un piano di abbattimento dei capi, come succede in altre regioni d’Italia. Un abbattimento controllato, non uno sterminio. È bene precisarlo. 
A decidere dovranno essere gli organi competenti. Che dovranno tener conto della conservazione della specie in via di estinzione nel Salento. E cioè sia dei cinghiali che dell’agricoltore.
 
Tiziana Colluto