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Il Salento celebra San Giuseppe e le sue “tavole”

Venerdì 18 e sabato 19 marzo appuntamento con le caratteristiche tavolate, voto di ringraziamento per grazia ricevuta o implorata 

 

Le tavole di san Giuseppe sono grandi tavolate imbandite il 18 e 19 marzo in onore di San Giuseppe (patrono dei poveri, dei derelitti e prodigo di grazie e miracoli verso i devoti) nei comuni di Giurdignano, Poggiardo, Uggiano La Chiesa, San Cassiano, Cerfignano, Cocumola, Minervino di Lecce, Casamassella e Otranto. Si tratta di una delle feste religiose più antiche della Puglia, risalente con ogni probabilità al tardo Medioevo, anche se non vi è ancora una datazione certa sulla sua origine (il più antico documento in cui viene menzionata risale al 1522, ad opera dell’arcivescovo di Otranto monsignor De Capua). 

Le “tavole “in onore del Santo sono realizzate dalle donne del luogo come voto di ringraziamento per grazia ricevuta o implorata e presentano diverse pietanze che vanno dai “lampascioni” (cipolline selvatiche) alle rape, dai “vermiceddhri” (pasta casareccia viene cucinata insieme con cavoli e ceci e ricoperta con una spolverata di pane grattugiato e zucchero) alla “massa” e al pesce fritto, dalle pittule alle zeppole, dal pane a forma di grossa ciambella ai finocchi e alle arance, insieme all’olio e al vino. Ogni pietanza ha il suo significato: la “massa” simboleggia l’arrivo della primavera e la rinascita della terra, evocati attraverso i prodotti utilizzati in questo preparato; il pane ha una forma circolare e vuota al centro, esso rappresenta l’Ostia Consacrata; l’olio rappresenta la prosperità e la fraternità; il vino rappresenta l’amore verso Dio e il sangue di Cristo; le arance rappresentano la fertilità e l’abbondanza e i finocchi per il loro colore candido rappresentano la purezza. Un altro simbolo importante è il bastone di San Giuseppe, ornato con gigli bianchi ed è simbolo di divina elevazione di Giuseppe che accoglie la verginità di Maria, rappresentata dai gigli. 

Il cibo delle “tavole” viene consumato a mezzogiorno del 19 marzo dai cosiddetti “santi”, -impersonati da amici o parenti delle famiglie devote- sempre comunque in numero dispari da un minimo di 3 (San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna) a un massimo di 13, in modo da richiamare il numero di Apostoli nell’ultima cena. Con questo rito si celebra anche la primavera e la rinascita della natura, propiziandone l’abbondanza dei raccolti, e si dimostra solidarietà nei confronti dei bisognosi, ai quali veniva offerto il cibo delle “tavole: un tempo i commensali che interpretavano i “santi” erano infatti scelti tra i poveri del paese. 

Il giorno della festa, dopo la Messa solenne, i “santi” si recano nelle case dove sono attesi; di lì a poco passerà il sacerdote per la benedizione della “tavola”, dopo la quale gli invitati si siedono e iniziano a mangiare. Colui che impersona San Giuseppe ha il compito di gestire il banchetto: a lui spetta decidere quando si smette di mangiare ogni pietanza battendo tre volte la forchetta sul bordo del suo piatto. A questo segnale tutti gli altri “santi” devono smettere di mangiare e passare alla pietanza successiva, servita dai componenti della famiglia devota. Alla fine del pranzo, dopo un breve momento di preghiera, i “santi” portano via con sé tutto ciò che è rimasto, pregando San Giuseppe perché esaudisca i loro desideri e aspirazioni.

In particolare a San Cassiano il 18 marzo alle 20 sarà possibile assistere all’accensione della tradizionale fòcara di San Giuseppe. La serata sarà allietata dal concerto musicale di Antonio Castrignanò e Mama Ska (ingresso libero) presso il parco San Pio.