Dopo anni di quiescenza, gli sbarchi di clandestini nel Salento si sono triplicati negli ultimi tempi. Affinità e differenze rispetto al passato, per un fenomeno che conferma l’antico ruolo di questa terra di essere crocevia tra Oriente e Occidente
C’erano una volta gli albanesi Che giusto vent’anni fa ruppero la cortina di ferro e cercarono di andare profughi per il mondo, magari passando per l’Italia. Qualcosa che sembra lontano, quasi come una scena di qualche vecchio film, qualcosa che non ci appartiene più. Perché gli albanesi qui, nel Salento, in molti casi si sono integrati, hanno proliferato. Sono traditi forse dall’accento a volte, ma sono diventati nostri amici, lavorano accanto a noi, qualcuno ha fatto persino un matrimonio italiano.
Adesso è il turno degli afgani, che con gli albanesi di allora hanno in comune una nazione con numerosi problemi. La storia si ripete, con i suoi corsi e ricorsi: navi piene di profughi hanno ripreso a sbarcare nel Salento, in un numero tale che nell’ultimo anno si è triplicato, da 300 a 900 arrivi circa. Proprio mentre il Salento cantava vittoria e si era arrivati a una nuova generazione di immigrati, che erano riusciti a inserirsi perfettamente nel nostro tessuto sociale salentina. Stavolta, i clandestini hanno scelto la costa sudadriatica per giungere in Italia, per affidarsi a scafisti senza scrupoli, che li porteranno in Europa, lontani dai loro problemi o verso qualcuno che ha promesso loro qualcosa.
Nelle ultime settimane ci sono stati arrivi a Castro, Tricase, Leuca, Porto Badisco, e mentre gli scafisti sono stati identificati e tradotti a Borgo San Nicola, i clandestini sono stati portati presso le strutture locali in attesa di essere rimpatriati. Non si tratta di centri di accoglienza, come qualcuno ha ben precisato, ma strutture che cercano di aiutare i profughi nelle loro prime necessità come il cibo, le cure mediche, anche se per lo più questi nuovi profughi stanno un po’ meglio dei loro predecessori al momento dello sbarco, forse complice la stagione calda. “Qui in Italia i profughi non hanno futuro -spiega la presidente di Integra Onlus, Klodiana Cuka– perché le leggi non prevedono che questi rimangano, tranne che nella condizione di rifugiati richiedenti asilo. Certo, gli sbarchi quest’anno sono aumentati vistosamente, anche se per il momento siamo preparati: la storia del passato ci ha permesso di apprendere come comportarci, anche se abbiamo ancora tanto da fare o da imparare, perché a questi ritmi il rischio di diventare come Lampedusa c’è”. E dal 6 settembre, ad Alessano, ci sarà l’apertura dello sportello d’ascolto degli immigrati, dell’ambito territoriale di Gagliano del Capo, a disposizione di migranti e famiglie italiane, oltre che di cittadini neocomunitari: oltre alla canonica attività di ascolto, si dovrà svolgere anche attività interculturale, animazione territoriale, formazione e informazione in materia di politiche migratorie. “Per migliorare la situazione, tuttavia -prosegue la Cuka- non basta che l’Italia si mobiliti. Le forze dell’ordine, in particolare la Polizia, durante questi sbarchi, hanno spesso aiutato da soli i profughi, ma anche altre nazioni, come la Grecia, è bene che escano dalla loro indifferenza al problema, perché la soluzione non può essere altro che comune”. Prepariamoci, quindi, perché la storia è fatta di corsi e ricorsi, ma cerchiamo una soluzione, per cercare di creare qualcosa in più in termini di sicurezza ma anche di organizzazione rispetto a chi ci ha preceduto.
Angela Leucci